Giovane sarà lei

Ho sempre pensato che essere giovani non sia sempre un bene, e che la nostra società sia solo apparentemente a favore di questa condizione, ma che poi invece tratti i giovani con condiscendenza. Un buon esempio mi sembrano i concorsi per giovani musicisti, le compilation di giovani band o le mostre di giovani artisti. Qui l’aggettivo giovani viene usato quasi come un’avvertenza: “Attenzione, quest’arte magari non sarà bellissima ma va presa per quello che è: sono giovani.” Questo atteggiamento è terribile, stupido e sbagliato, non solo per i poveri giovani (che non hanno alcuna responsabilità per la loro condizione) ma per la cultura in generale. Quando è uscito Bleach, il primo album dei Nirvana, Kurt Cobain aveva 22 anni. Aveva solo un anno di più il Boss quand’è uscito il suo primo disco, nel ’73. La storia della musica Pop offre migliaia di esempi, e così la storia dell’arte, della letteratura e della poesia. Duel, il terzo film di Spielberg, è del 1971: il regista aveva 23 anni.

Il problema di questa etichetta è che viene apposta da altri, che giovani non sono. A nessun giovane verrebbe mai in mente di definirsi come tale. Non solo, ma chiunque abbia buona memoria ricorda quella fase dell’adolescenza nella quale essere compagni di classe perdeva senso, e assumevano importanza altri dettagli identificativi: i capelli, il vestiario, la musica ascoltata. Accomunare dei ventenni creativi sotto il cappello di “giovani artisti” è tanto fastidioso quanto la mamma che ti dice: “Vai a giocare con quei bambini, sono come te”, mentre tu lo vedi da un chilometro che sono diversissimi. Il mondo dell’arte è un buon esempio: ai “giovani artisti” non viene richiesto di essere sublimi, sconcertanti e magnifici; no, basta che siano giovani, e (nei casi peggiori) che lo sembrino anche. Qualche anno fa andavano di moda i graffitari, e se avevi 20 anni non potevi che essere uno street artist. Quindi, a fronte di qualche effettivo decoratore di vagoni ferroviari, spuntarono come funghi dei taggatori della domenica, convinti (da curatori malvagi) che aver scritto per strada fosse una pre-condizione essenziale per essere artisti. Perché, uno si chiede? Per soddisfare un’esigenza spregevole, cioè assomigliare in qualche modo all’idea generale di giovane: “Dipingi a olio, o scolpisci il marmo? Sei antico: bomba un palazzo, invece – e mettiti dei piercing”.

Anche nella musica italiana c’è molta gerontocrazia. Fare un primo disco nel 2008 è difficilissimo, salvo a essere i Lost. Gli amministratori locali, e gli organizzatori di festival, sono invece ancora affezionati all’idea dei “giovani gruppi”, da esibire in concerti collettivi (che tanto sono giovani, quindi faranno tutti la stessa musica) popolatissimi da amici e familiari ma ignorati dal pubblico (che tanto sono giovani, se poi si faranno li andremo a vedere), e da stampare su un bel CD che “ritrae la situazione dei gruppi giovanili locali”, o anche “evidenzia il talento dei giovani musicisti della nostra provincia”. Qualcuno ascolta questi CD? Non credo, se non i gruppi medesimi, e certamente quasi mai per intero: la musica non è sociologia giovanile, e il fatto che alcune canzoni siano scritte da ventenni della Val Trompia non le rende affatto simili.

Ma non vorrei sembrare negativo e basta, quindi ecco una proposta: fino ai 18 anni si può essere giovani artisti. Dopodiché si è buoni o  cattivi artisti, e basta. A nessuno interessa l’età di Lennon & McCartney quando hanno scritto Love me do (rispettivamente 18 e 16): è un dato accessorio, come dovrebbe essere sempre in un mondo solo leggermente migliore.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *