“Sono quarant’anni che ho vent’anni”; con questa romantica e banalissima affermazione il sessantenne Gino Paoli presenta il suo tour, incarnando i sogni dei suoi coetanei di tutta Italia. Sentirsi giovani, o comunque sembrarlo (qualsiasi età si abbia) è tra gli imperativi categorici di questi ultimi tempi: palestra, completini micidiali, diete infami, lifting e così via. La corsa alla gioventù non conosce differenze sociali, e come l’operaio si fa “la tinta” per coprire i capelli bianchi (e si vede), così Paolo Limiti, che potrebbe invecchiare con decoro, si affresca preziosamente il vello di rosso tiziano (che pure si vede).
Il “mito della gioventù” nasce nel dopoguerra. Prima i giovani non esistevano. Si era ragazzi, e poi adulti; ci si sposava presto e non c’era molto tempo per la “spensieratezza giovanile”. Negli anni ’50 del benessere, l’industria scopre che i ragazzi sono bravi consumatori ed inizia a rivolgersi specificamente a loro: nascono così i consumi e lo stile di vita giovanili. Con il ’68 poi, questo fenomeno cambia pelle: sono gli anni della “contestazione”, dei “matusa”, dei “capelloni”, etc. Non sar” certo io a biasimare il ’68, che ha battezzato la scena alternativa italiana (che per” già esisteva); fattostà che quella guerra è stata combattuta anche a colpi di blue jeans sdruciti (rigorosamente Levi’s), di Clarks e di rock, non ancora corporate ma già sulla buona strada. Negli anni ’70 si afferma definitivamente il mito del giovane con tutte le sue contraddizioni ed incongruenze. La gioventù viene ancora percepita come “beata”, malgrado la disoccupazione raggiunga proprio in quegli anni livelli da record; ha sempre più spazio nei media (che si chiedono come sono, cosa pensano, cosa sognano, come scopano, etc.) ma sempre di più viene bollata come inaffidabile (e la lista delle “generazioni bruciate” si allunga ogni anno di una). Negli anni’80 le cose non cambiano, anzi: malgrado l’aumento dei disoccupati nasce la figura dello yuppie (il giovane professionista urbano), un coglione con meno di trent’anni e un buon lavoro, che consuma in cazzate superflue la totalità del suo stipendio, privilegiando l’apparire all’essere e la forma alla sostanza. Ecco come e dove nasce il “giovane per sempre” che vediamo oggi aggirarsi nel nostro paese (e di cui il povero Limiti è solo uno degli esemplari).
E’ nei nefasti anni ’80 che il povero cinquantenne si rende conto che deve competere con una generazione di giovani stronzi scellerati, fatti di coca, privi di qualsiasi morale e pronti a tutto. E lui si adegua comperandosi dei cosmetici, rischiando l’infarto in palestra e soprattutto rinunciando a godersi i vantaggi della sua età per sopravvivere pateticamente in quella di qualcun’altro. Come spiegare altrimenti le panze cinquantenni fasciate in attillatissime magliette di lycra col collo a V che vedo in giro quest’estate? Che poi non sanno che si perdono – mentre rimpiangono di non avere più vent’anni. Perché, miei amatissimi giovani lettori, invecchiare (o meglio diventare finalmente adulti) è bellissimo, per un sacco di motivi. Maggiore consapevolezza, aumento della comprensione del mondo, approfondita conoscenza dei meccanismi che regolano le interazioni tra umani, aumento della credibilità; sono molte e le cose che mi fanno dire che crescere (o invecchiare) è tutto sommato positivo. E poi io ho sempre avuto uno stile mio, un po’ punk e un po’ da saccente del cazzo; fino a qualche anno fa pensavano “è giovane, col tempo cambierà”. Finalmente hanno smesso: hanno capito che, gli piaccia o meno, non cambio: sono così per natura e per scelta, non per estremismo di gioventù.
PS: fatemi gli auguri, che il 18 compio quarant’anni.
PPS: Mi scrive Flavio di Speed Demon, notando che il mini sul linguaggio (6/99) finisce contraddittoriamente con l’espressione: “se la pigliano nel culo”, in palese contraddizione col senso dell’articolo sugli insulti di qualche numero fa: ha ragione, m’ha beccato, nessuna scusa..