Gli Stati Uniti (paese nel quale mi trovo mentre scrivo) sono notoriamente la patria della musica moderna. Standoci lo si nota in una miriade di dettagli, a volte stupefacenti per chi non ci è abituato. La PBS, l’unico tipo di televisione pubblica rimasta negli USA, la sera spesso trasmette concerti, e con l’occasione cerca di assicurarsi delle donazioni (uno dei metodi di finanziamento, una sorta di canone volontario) vendendo CD e DVD del concerto medesimo. Un po’ come fa Media Shopping con le compilazze italiche anni ’60, ma non limitandosi a trasmettere spezzoni con sopra lo speaker: PBS trasmette concerti interi, e che concerti. L’altra sera hanno mandato in onda un filmato Tv della Stax All Stars Revue, girato nel ’67 in Norvegia: backing band gli MGs, frontmen – tra gli altri – Booker T. Jones, Sam & Dave (in forma smagliante) e un Otis Redding talmente furibondo che il concerto è finito con la polizia in prima fila. Naturalmente per gli americani Sam & Dave sono un po’ come per noi Albano e Romina, e questo sorprende sempre un po’ – almeno me.
Tutto il music business qui è più importante che in Europa, e l’intera filiera sembra funzionare in modo diverso. Un ottimo esempio sono i combattenti della musica, quelli che stanno in prima linea come i negozi di strumenti musicali. Chiunque sia mai entrato in qualcuno di questi negozi in Italia sa cosa aspettarsi: commessi occupatissimi, spesso spocchiosi, a volte maleducati; strumenti “intoccabili”, incatenati agli stand. Amplificatori spenti, zero sedie, cartelli “NON TOCCARE” e “PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI AL PERSONALE” sparsi un po’ ovunque. Poi naturalmente ci sono alcune notevolissime eccezioni, commessi disponibili e negozi amichevoli. Però non sono la norma: di solito sono come sopra – salvo che tu non sia Zucchero, nel qual caso probabilmente ti aprono il negozio di notte per farti provare tutto in santa pace.
Ho visitato due negozi di strumenti qui a Chicago. Per primo Guitar Center, parte di una catena nazionale, che è fornitissimo e gestito da gente assai disponibile: mi serviva una tastiera MIDI e ne ho potute provare 10 prima di scegliere. Poi, giorni fa, ho deciso di comprarmi una chitarra: certe marche americane qui sono effettivamente molto più economiche che da noi. Mi sono quindi diretto alla Mecca della chitarra di Chicago, il Chicago Music Exchange. Dovreste visitare il sito chicagomusicexchange.com sono per vedere il filmato panoramico del posto: una specie di antica pasticceria di lusso, spaziosa, piena di sedie, divani e sgabelli, e alle pareti la più stupefacente collezione di chitarre vintage immaginabile. Si parte dagli anni ’20, passando per tutti i modelli leggendari della chitarra moderna. E di quelle proprio mitiche, come le Gibson 175 e la serie L4, o le Martin pre-war, ce ne sono almeno 10 pezzi, tutti esposti.
Appena entrato mi è mancato il respiro. Poi ho iniziato a avvicinarmi, con le mani in tasca (e un sorriso ebete stampato in faccia). A quel punto si avvicina un commesso e mi fa: “Se vuoi provarle, prendile e suona: gli ampli sono di là, accesi e col cavo già infilato.” Incredulo, gli chiedo: “Tutte?” E lui, andandosene: “Certo, e se hai delle domande chiedi pure.” Dieci minuti dopo testavo una Stratocaster da 35.000 dollari che sembrava fatta di panna molto montata, dentro un Vox AC-30 d’annata (e senza un commesso di guardia). E prima di comprarmi la mia (bella, ma assolutamente non vintage), mi sono levato tutti gli sfizi possibili. Dopodiché, uscendo, ho chiesto: “C’è molta gente che viene e prova? Se avessi 15 anni probabilmente vivrei qui dentro.” E il commesso, imperturbabile: “Si, certo. Ma è quello che vogliamo: le chitarre vanno suonate per essere scelte, altrimenti come si fà?” Ecco: questa frase per me suona melodiosa come un assolo di BB King (mentre certi negozianti italiani mi irritano quanto il Ballo del qua qua).