Guardare ma non toccare

Una volta la tecnologia era utile e basta. Poi è diventata anche gradevole, più semplice da usare e infine bella. Molto bella. Talmente tanto da non sembrare quasi più fatta per noi, rozzi umani.

Uno dei fattori essenziali delle nuove tecnologie è quello dell’interfaccia utente, i vari controlli tattili, visivi e sonori che ci consentono di interagirci. La macchina ha pulsanti, menù e diplay e noi abbiamo dita, orecchie e occhi. Ovviamente nella progettazione di un oggetto si presta grandissima attenzione all’interfaccia utente, e a ragione: una tecnologia può essere davvero eccellente, ma se è scomoda, macchinosa e di uso non immediato è difficile che si affermi. Naturalmente più una tecnologia diventa di massa più la sua interfaccia deve essere semplice e immediata, e la sua ergonomia deve coprire una vastissima gamma umana: i cellulari col display grande sono chiaramente più popolari tra i miopi. E’ un incastro affascinante quello tra noi e le macchine, pensate per convivere armoniosamente coi nostri corpi, i nostri sensi e difetti; per essere utili e comprensibili, insomma per interagire con noi.

La storia delle interfacce utente è davvero avvincente, con le sue vittorie epocali (come l’invenzione del mouse già negli anni ’60) e i suoi fallimenti (come la programmazione dei videoregistratori, rimasta farraginosa fino all’avvento, ancora in corso, della tv digitale). Una storia che s’interseca con quella del nostro progressivo abituarci alle tecnologie; una vicenda intensa e a tratti pasoliniana. Infatti anche noi abbiamo delle interfacce, occhi, orecchie e mani; strumenti non modificabili (o quasi) intorno ai quali si costruisce il futuro. Per anni ho pensato che l’uso dei cellulari fosse precluso ai contadini per via delle loro dita enormi. E all’inizio è stato così, ma poi hanno imparato a usare l’unghia per digitare e adesso, tra i frutteti di tutta Europa, fioccano gli sms. Questo passaggio è stato fondamentale: trovato l’equilibrio tra la piccolezza del tasto e l’inclinazione del pollice (nessuno digita col polpastrello dritto) tutto è possibile. Ma non è stato facile: come molti di noi sanno, un cellulare troppo piccolo non è comodissimo, e c’è una misura (diversa per ognuno) che sta bene in tasca ma non si perde, e quando parli non ti pare che non ti sentano (una scena comune fino a pochi anni fa: gente che avvicinava il telefono alla bocca per parlare e poi lo riportava all’orecchio per sentire). Anche un telefono con troppe funzioni non incontra il gusto della massa, come sa benissimo Nokia, che da diversi anni investe a perdere in una serie quasi pioneristica (la 9000).

L’ultima problematica delle interfacce utente però non riguarda le dimensioni dei tasti o quella del display ma i materiali sempre meno umani con cui si racchiudono le tecnologie. Le macchine fotografiche Nikon Coolpix S1, per esempio, sono rivestite da una stupefacente vernice nera lucida che le fa sembrare l’agendina di Darth Vader. Peccato che questo effetto si possa ammirare solo dopo averle lucidate ma non toccate: perfino la mano più asciutta ci lascia sopra immonde tracce organiche. Lo stesso accade al display del Motorola V3 (peraltro bello, e finalmente meno farraginoso): se lo lucidi (ma non col fazzoletto: ci vuole un panno assorbente) è astronautico e nitidissimo. Ma appena lo appoggi all’orecchio, utile dovendoci telefonare, si ingrassa orribilmente, tanto da farti dubitare del tuo equilibrio sebaceo. Insomma gli ultimi oggetti tecnologici sono bellissimi (come il Nokia 8800, però ingiustificato a 943 euro perfino con le gassose suonerie di Sakamoto), ma non sembrano fatti per essere toccati da mano umana bensì per stare in una teca, sospesi a mezz’aria e ben protetti da ogni contaminazione animale. La strada insomma è ancora lunga.