I superpoteri sono una realtà, frutto della ricerca tecnologica, ma non ancora per tutti. Ecco a voi l’ultracorpo meccanico, oggi privilegio di pochi: i primi, le star dello sport, ma soprattutto gli ultimi: i disabili.
Per quanto la tecnologia sia diventata un ingrediente ormai familiare nel paesaggio delle nostre vite, esiste ancora un versante pionieristico e di frontiera. Una zona grigia, a volte ai limiti e oltre la legalità, in cui si sperimentano soluzioni ardite che poi un giorno forse adotteremo tutti. I due settori davvero all’avanguardia in questo campo sono, curiosamente, lo sport e la disabilità. Il primo è facilmente spiegabile: non solo ci sono immensi interessi commerciali nella creazione di super-atleti, ma lo sport è tradizionalmente il campo in cui l’uomo supera se stesso, e se è vero che le tecnologie sono estensioni del corpo, è naturale che lo sport le utilizzi. Ma è nelle disabilità che la tecnologia sta portando una vera rivoluzione; abbiamo notato tutti come negli ultimi anni siano cambiati i materiali e le forme di stampelle, carrozzine, ecc: nuovi materiali e studi ergonomici hanno molto potenziato questi oggetti. Sappiamo anche che molti strumenti per la riabilitazione si basano su tecnologie sofisticate ma questa è solo la punta dell’iceberg: la ricerca più avanzata infatti punta al recupero delle normali funzioni, ma guardando in realtà al potenziamento di queste abilità.
La ragione principale è quasi ovvia, a pensarci bene: chi di noi “normodotati” si farebbe impiantare un occhio bionico o due super-gambe? Un cieco invece, o un paraplegico, non hanno letteralmente niente da perdere, e anzi molto da guadagnare, oggi più che mai. Prendiamo la vista: chi vede bene ha 10/10, legge un libro senza difficoltà e vede il numero dell’autobus a 100 metri di distanza. Dovendo impiantare un occhio artificiale ad un non vedente (ci sono studi avanzatissimi, e sono già stati compiuti i primi esperimenti sull’uomo), non c’è nessuna ragione per limitare il suo funzionamento ai normali 10/10. Potrebbe tranquillamente averne 190, di decimi, vedere di notte e attraverso i muri. Idem per gli handicap motori: nell’ideazione di arti meccanici i limiti non sono quelli di tutti noi, bensì quelli della fisica. Molto presto la soluzione al problema della sordità non sarà il recupero dell’udito, ma l’acquisizione di un superpotere: l’ultraudito, forse integrato da altre funzioni come il riconoscimento vocale o l’ecolocazione; nell’era delle nanotecnologie il limite è dettato solo dalla fantasia. Ma fino qui siamo (quasi) nei normali limiti della ricerca medica. La tecnologia però si muove anche in altre direzioni, che sono proprio quelle della fantascienza: chip neuronali, scanner retinici, impianti di memoria e simili. E sono ancora una volta i cosiddetti portatori di handicap i soggetti che più naturalmente si prestano alla sperimentazione. In fondo perfino il telecomando è infinitamente più utile a un disabile che agli altri; figurarsi un chip impiantato nel braccio che consente di controllare tutte le funzioni della casa, oltre a monitorare lo stato di salute, a chiamare soccorso in caso si incidenti…
Arriva l’uomo bionico: era ora. Nasce da un settore della scienza che, nel tentativo di restituire una vita normale a chi non ce l’ha, ha finito per dargliene una potenziata. Esattamente come nello sport, siamo destinati tutti a godere dei risultati di queste ricerche – ma per secondi. I primi, i nuovi superuomini, sono tra quelli tradizionalmente considerati gli ultimi. Insomma è finalmente tra noi l’Uomo da sei milioni di dollari, ma non ha il ghigno accattivante di Lee Majors bensì la bella espressione, sorpresa e ottimista, di Alex Zanardi.