L’etica della beneficenza di mia nonna era chiarissima: si fa’ ma non si dice, cioè i signori non lo dicono. (I buzzurri invece sì: se andate a Graz, in Austria, non perdetevi una visita allo Stadio Arnold Schwarzenegger, che il divo si è autointitolato dopo averlo donato alla città nel corso di una toccante e, dicono, grottesca cerimonia.) Quasi che dirlo annullasse il senso stesso del gesto. I più raffinati poi restavano anonimi anche per il beneficiato, che in fondo ha un senso: se regali dieci euro e lo dici in giro ne riguadagni otto in stima e due in caffè pagati, oltre alla gratitudine del beneficiario. Se invece nessuno sa niente il bene si fa’ lo stesso, e ne esci lindo come un pupo. Se poi sei religioso questo vale doppio: è segno di modestia d’animo e purezza di intenti.
Negli anni ’80 però è scattato un meccanismo molto perverso. Si è capito che le celebrità potevano muovere le masse non solo per fargli agitare accendini ai concerti, ma anche per sensibilizzarle sulle ingiustizie del mondo: l’ecologia, il razzismo, il sudafrica, la fame nel mondo, il debito, l’aids. Indubbiamente su molte di queste questioni l’intervento dei vip è stato utile, a volte perfino decisivo. Ed ecco la perversione: se la celebrity fa da bandiera deve essere ben visibile, il che però solleva la questione della sua poca signorilità: così pare che si faccia bello con le sorti del pianeta. E non solo bello; infatti si è anche capito subito che le grandi cause facevano vendere un sacco di dischi, film, libri, etc. e se Live Aid può essere considerato un evento speciale, già quelli immediatamente successivi puzzavano di marcio. Ma non nel senso banale che si tenevano i soldi. Si guadagnavano l’immagine di rockers buoni ed impegnati (belli i tempi in cui era solo sesso, droga & r’n’r) e i soldi di quelli che poi s’accattavano il loro cd.
Nel corso degli anni la situazione si è deteriorata. Spettacolare fu l'”assalto” reclamizzato di Gianna Nannini all’Ambasciata francese di Roma in occasione degli esperimenti nucleari a Mururoa e in coincidenza con l’uscita del suo album, ma anche alle manifestazioni tipo Aids day c’è quasi sempre solo chi deve promuovere qualcosa o cerca visibilità. Idem alle partite del cuore: vale solo se c’è la tv, e si dice che negli spogliatoi i manager discutano su quanti minuti di gioco (cioè di esposizione) tocchi ad ognuno. Pavarotti & Friends: fai due conti e scopri che ognuno degli amici guadagna in un mese l’intera cifra devoluta dal P&F, e che se che ognuno di loro donasse il 10% dei suoi incassi (possibilmente senza dirlo) si potrebbero risolvere molti problemi del mondo. Ma invece niente: Ferrari, coca e puttanoni, e poi tutti da Big Luciano a fare del bene in mondovisione.
L’ultimo caso è un film sulla fame in Africa, in cui un bambino denutrito farebbe addirittura parte del cast (così pare dai trailer). Questo attirerà molte persone al cinema le quali giustamente si commuoveranno: è una situazione terribile. Ecco quello che avrei voluto sentir dire: “Tutti hanno lavorato gratis (tranne il bambino): il film è stato prodotto per beneficenza. Anche i distributori, le sale e la Siae hanno deciso di aderire a questa bella iniziativa, e l’intero incasso lordo andrà ai bambini africani affamati”. Già mi pare un compromesso: fai beneficenza e lo dici, ma almeno la fai. Ecco invece cosa dice lo spot: “Per ogni biglietto staccato sarà devoluto un euro ai bambini africani affamati”. Che nella più elegante delle ipotesi vuol dire: “Eh, che bravo che sono? Lucro sulla fame, ma poi devolvo il 12,5% dei miei incassi in beneficenza.” Ma nella peggiore, cioè nella mia, significa: “Venite a frotte, così fate del bene a bambini africani che poi potrete guardare mangiando due euro di popcorn senza sentirvi delle merde; e uscendo dal cinema sentirete di aver fatto la vostra parte. Sperando che il denutrito faccia aumentare almeno del 12,5% il numero dei miei clienti.” Aveva ragione mia nonna: si fa’ ma non si dice, e se lo dici non vale più.