Qualsiasi discorso che abbia a che fare con la forma del corpo si porta dietro una certa quantità di scorie, di polemica e perfino di sofferenza. Si parla molto di Body shaming, lo si denuncia, lo si combatte anche con iniziative forti. E se da un lato c’è un totalitarismo sociale residuo ma tenace che registra qualsiasi scostamento dei corpi pubblici dalla “norma”, dall’altro si leggono dichiarazioni generiche dal suono vagamente fesso: la bellezza non esiste, siamo tutti belli e via dicendo. La questione è più complicata e non priva di implicazioni interessanti.
Ovviamente la bellezza esiste. È il frutto di un complicato incrocio tra cultura popolare, fattori estetici e geografici, che ci porta a considerare attraenti certe caratteristiche. Fino a pochi anni fa gli unici canoni di bellezza riguardavano il corpo femminile, e naturalmente rispondevano a criteri maschili: negli anni ’70 andava il seno piccolo e il corpo esile, mentre negli ’80 si portava la tetta tripla e il culo a mandolino. Naturalmente c’è anche la bellezza maschile (celebrata nell’età classica) che però viene accettata culturalmente solo dagli anni ’50 in poi. In uno spirito che è allo stesso modo femminista e nazional-popolare si diffondono alcune pratiche “rovesciate”, dove cioè il corpo maschile viene esibito come quello delle donne: lo stripper nei club l’8 marzo o certi programmi di Tv trash coi maschi unti in perizoma. Forme di “parità” tra i generi, certo, ma una parità truffaldina che non contiene nessuna evoluzione della società. Ad affermare i canoni di bellezza del momento ci pensano il cinema, i social media, la pubblicità e la televisione che non hanno lo scopo di sovvertire gli stereotipi bensì di amplificarli: se in un film c’è un attore/attrice figo/a, un certo tipo di pubblico lo/la seguirà pure per questo. Ovviamente però se questa persona poi smettere di essere figa, di solito perché prende peso, quel suo pubblico glielo farà notare – talvolta in forma di Body shaming: gli standard sono inflessibili e nel 2023 riguardano tutti. Oggi anche grazie alla penetrazione di prodotti culturali diversi come le serie Tv stiamo lentamente uscendo da certe gabbie e si può sperare che negli anni la situazione migliori.
Mi pare che il problema di fondo sia cosa si desidera, una questione complicata che ha degli aspetti personali e altri sociali. In Italia fin da piccoli c’è una forte pressione, si giudica, si commenta, reiterando gli stereotipi e spingendo il pubblico verso certi modelli rafforzati dai media: tutti simili, stesse forme, stessi tatuaggi, stesse poppe. È ovvio che imparare a desiderare in proprio è un processo lungo e abbandonare certi modelli è difficile. Certo, la fantasia potrebbe aiutare molto. Purtroppo invece sembrerebbe che la quasi totalità dei giovani italiani imparino a fare sesso guardando la pornografia, che alla fantasia lascia pochissimo spazio e che in materia di forme ha gli stessi standard degli altri media (escludendo fetish specifici). Imparare il sesso dai porno industriali è un po’ come imparare a prendere il treno guardando Mission Impossible o immaginare che la realtà sia quella dei cartoni animati. Nelle famiglie italiane quello sessuale rimane un tema molto poco frequentato, c’è ancora imbarazzo, si rimanda, si delega. A chi? Ovviamente alla pornografia, dato che pure nelle scuole questo resta un argomento tabu e, considerando il venticello politico italico, temo che lo resterà molto a lungo. Attenzione: io non ho assolutamente niente contro i porno, Tom Cruise o i cartoni, anzi – basta sapere cosa si sta guardando. Se però non lo si spiega, nessuno poi si meravigli se il bambino caccia il gatto come fa il Coyote con Beep beep o un teenager vuole fare il pissing con la sua fidanzatina.
Non solo l’insegnamento della sessualità nelle scuole è urgentissimo, ancora di più oggi nell’era del libero accesso a tutto, ma mi pare altrettanto urgente aiutare la gente a desiderare meglio e amare con profitto: materie importantissime per una vita migliore ma inspiegabilmente non insegnate (così come l’essere genitori: si pensa che venga istintivo, purtroppo la realtà ci dice una cosa diversa). Il risultato è un desiderio di massa, bidimensionale, oggettivo e estetizzato dove la forma è tutto e la sostanza non serve, dove le donne non scureggiano, i maschi nascono senza peli e il desiderio è esclusivamente intrattenimento per lo sguardo altrui. Dimenticando la regola numero uno: le zone erogene non stanno tra le gambe ma in mezzo alle orecchie. Una informazione essenziale che non ci fornisce la scuola, la famiglia, i porno o la società. Il risultato è desolante e foriero di sventura, dal Body shaming alla violenza di genere diffusissima. Purtroppo invece in parlamento ci si preoccupa della famiglia tradizionale (che ha funzionato talmente poco da essere specie protetta dal WWF) e del Gender – whatever that is.