Il femminicidio siamo noi

Una reazione tipica di fronte ai gravi problemi della nostra società è di pensare che non ci riguardino. Che esista un’Italia parallela dove succedono cose terribili e ripugnanti, che però non è dove abitiamo noi, bensì altrove. Un altrove popolato di gente esotica, che si comporta in modi davvero bizzarri. Chi sta in città pensa alla provincia, chi sta al nord pensa al sud, chi è ricco pensa ai poveri – chiunque ma non io. Un buon esempio è il razzismo: tra di noi persone perbene, informate e accorte, che abbiamo manifestato per i diritti degli immigrati, che ci piacciono band multietniche e detestiamo Borghezio, il razzismo non dovrebbe esistere. Invece poi, se guardiamo bene, scopriamo che a parole siamo bravissimi, ma che poi in pratica magari non tanto: quanti di noi si farebbero operare a cuore aperto da un chirurgo africano? Molti, ma non proprio tutti.

Un tema intorno al quale c’è un atteggiamento che mi pare molto simile è quello che i media hanno chiamato il “femminicidio” – parola equivoca e confondente che descrive una serie di omicidi con un colpevole uomo e una vittima donna. Solitamente si tratta di coppie separate o in fase di separazione, a volte c’è anche una nuova relazione della vittima. Spesso questi omicidi sono preceduti da una fase di stalking (che è finalmente reato anche da noi), persecuzione a base di telefonate, appostamenti, minacce e violenze. Roba bruttissima, della quale si pensa che non ci riguardi, che sia una cosa legata al degrado o all’ignoranza, appannaggio di persone violente, squilibrati, ecc. Invece riguarda tutti: me, te che leggi, tua sorella, la sua migliore amica, suo padre, suo fratello. Tutti. E prima questo si capisce, prima siamo in grado di liberarci di questo odiosa scoria del passato.

Riguarda innanzitutto noi maschi. La nostra società, nel corso dei secoli, è stata gravemente in torto nei confronti delle donne, che fino a pochi anni fa erano assai discriminate, e il cui corpo era soggetto a regole speciali e restrittive. Oggi, grazie a movimenti di opinione esistenti da ben più di un secolo, si è raggiunta una relativa parità lavorativa – molto relativa. Purtroppo invece in altri settori siamo ancora in pieno ‘800: io detesto Daniela Santanchè, ma non sopporto più di sentire gli insulti sessisti che le vengono rivolti da maschi che la pensano come me. Se si deve attaccare una donna si conosce soltanto questo metodo, e il temine prescelto è abitualmente “troia”. Un dispregiativo agghiacciante e ingiustificabile: nel linguaggio comune descrive una donna a cui piace avere rapporti sessuali con partner diversi, come se fosse un difetto. In questo siamo tutti responsabili: chi lo dice, ma anche chi non reagisce e lascia correre. Se il tuo amico tratta di merda sua moglie e tu non glielo fai notare, diventi suo complice: da qui non si scappa. Se nessuno si indigna vorrà dire che va bene. E’ difficile? Certo, e a volte anche molto spiacevole. Però è davvero necessario.

E riguarda anche le donne, tutte le donne. Per esempio quelle che si adeguano a questa disparità, creando l’illusione di essere effettivamente la proprietà di qualcuno. Quelle che usano termini sessisti nei confronti di altre donne – e ce ne sono a bizzeffe – o quelle per cui la soluzione è comportarsi come dei maschi stupidi. Mi sembrano strategie magari anche giustificabili in un contesto come quello italiano, ma per niente vincenti. Perché qualsiasi cambiamento sociale, specialmente questo, deve passare anche attraverso di loro, che oltre a essere nostre concittadine sono anche le nostre sorelle, mogli e fidanzate. Come dite? Potrebbero pure imparare a scegliersi dei partner più degni, dei maschi più sensati? Non c’è dubbio. Però per quanto retrivo, stronzo e violento uno possa essere, niente dovrebbe farlo sentire autorizzato anche solo a pensare certe cose. Invece purtroppo così non è – non ancora.

(si ringrazia GR)

2 thoughts on “Il femminicidio siamo noi

  1. viste le mie disastrose esperienze con chirurghi caucasici non vedo l’ ora di essere operato da un chirurgo africano e poi te ne racconto un’ altra:
    qualche giorno fa vado dal dentista, su appuntamento. Nell’ atrio mi accoglie la segretaria, sui 25 anni, che mi dice: ” il titolare oggi non c’ è quindi la visiterà la sua assistente, una dentista donna” – pausa in cui mi guarda da sotto in sù terrorizzata, e aggiunge- ” c’ è qualche problema?”.
    Ma in che cazzo di paese vivo?

  2. Questo è un Paese che non investe in cultura.
    La notizia che ho sentito stamattina è che la Francia ha posto un valore più alto alla cultura che alle automobili. E’ un dato.
    Dovrebbe far riflettere: maggior cultura, in un Paese come la Francia (rapportato al nostro) significa maggiore intelligenza in generale.
    Certo, lì magari non ci sono tutti i gibboni che alla domenica fanno casino allo stadio come succede qui (e non mi si dica che in questo senso il calcio è comunque una cultura), ma come qualcuno ipotizza, se ci fosse una tenzone fra Italia e Francia, oggi la Francia ne esce stravincitrice.
    Perchè affronto questo discorso? Perchè da noi, l’omertà comanda diversi comportamenti, specialmente quelli che hanno a che vedere con la parità dei sessi. E l’omertà si combatte in modo inversamente proporzionale a quest’ultima, ossia parlando, manifestando idee apertamente, dire “chi picchia una donna è una merda!” (l’ho fatto sul mio profilo Facebook: ho ricevuto 5 “like”, e ho 670 contatti circa. Quasi come essersi schiantati a folle velocità contro un muro).
    Finchè non arriveranno politiche in questo senso (sensibilizzazione di opinione pubblica, cartellonistica, la famosa “pubblicità progresso” di una volta – e chissà perchè la chiamavano così…), rimarremo sempre al palo.
    Anzi, la mia impressione (più che un’impressione) è che indietreggiamo, non rimaniamo semplicemente solo fermi.

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