Nei periodi di crisi economica si manifesta la tendenza, comprensibile e giustificabile, di privilegiare ciò che si considera necessario rispetto a quello che viene percepito come superfluo. Anche nel calibrare le manovra economiche, e nelle politiche di spesa delle amministrazioni locali, abitualmente il principio è lo stesso: tagliare il superfluo e concentrarsi sul necessario. Effetto collaterale è una sorta di buon senso rozzo e generalista, che tende a considerare ovvia la distinzione tra necessario e superfluo: “Il pane è necessario, il teatro è superfluo.” Da un certo punto di vista è certamente così, se muori di fame e ti danno l’Amleto non va bene. Ma se invece muori di fame di teatro e ti danno un panino?
Stabilire cosa sia un bene necessario non è affatto ovvio. Anzi, considerando le scelte dei governi italiani degli ultimi 50 anni, viene da pensare che su questa distinzione si basi molta della filosofia politica. Per alcuni le parrocchie sono un bene irrinunciabile; io ogni volta che ne vedo una penso, nell’ordine, alla pedofilia e a che bel campo da tennis/sala da concerto ci si potrebbe fare. Io ritengo che l’arte sia un bene fondamentale; mi pare evidente che La Russa la pensi diversamente. Secondo me la cultura è necessaria sempre, e lo è immensamente di più proprio nei momenti di crisi. In questo (come sempre) sono in nettissima minoranza: non solo nella mega-manovra di Monti la parola cultura non compare mai, ma nemmeno nelle scelte del mio comune di residenza: “Cribbio, c’è la crisi, si perdono posti di lavoro, i pensionati piangono e tu chiedi più cultura?”
Non solo la chiedo, ma a quelli che credono che non serva a niente, indico un periodo storico molto simile a questo: la grande crisi del ’29. Negli anni immediatamente successivi la cultura ha svolto un ruolo importante, e non soltanto per alleviare gli effetti della recessione: negli USA per esempio si afferma un nuovo genere musicale, che oggi chiamiamo Folk, che tra le altre cose svolge un ruolo importante di connessione tra le persone, le idee e le possibili soluzioni, aiutando il pubblico a comprendere e a reagire. Senza quei musicisti (di cui il più noto è Woody Guthrie ma ce ne sono centinaia di altri) non avremmo avuto un bel pezzo della cultura Pop successiva, da Bob Dylan (che nel primo album imitava Guthrie quasi senza pudore) ai Clash. In questo caso la bellezza e la cultura hanno svolto un duplice ruolo: alleviare e motivare, intrattenere ma anche aiutare a capire e a spiegarsi il mondo.
Ecco perché l’assenza della parola cultura dai programmi politici mi preoccupa; perché so quanto possa essere utile in questi momenti. D’altronde noi ci siamo abituati: la “nostra” cultura non ha mai trovato posto in nessun programma politico. Però questo non ci ha mai scoraggiato. Ecco, io penso che in questa fase chiunque produca contenuti artistici debba sentirsi chiamato in causa, e mettersi a disposizione della collettività. E, dato che siamo su Rumore e magari qualcuno mi legge, vorrei fare un appello a tutti i musicisti, famosi o meno. Rendiamoci disponibili nel 2012; abbassiamo i nostri compensi e disponiamoci a fare molti chilometri per andare a suonare, accettando di farlo in situazioni magari meno lussuose del solito, per meno soldi e più spesso. Facciamoci un punto d’onore di andare anche in zone remote, meno frequentate e economicamente meno abbienti. Mettiamo in conto che per ogni 5 date pagate ne facciamo un gratis, e via dicendo.
Perché non è vero che l’arte e la musica sono superflue, anzi. Per molti di noi sono nutrimento puro, specialmente quando tutto il resto non va. Quindi se hai avuto qualcosa dal tuo pubblico, oggi è il momento di rimettere in circolazione tutto quel bene, quella energia e motivazione che hanno contribuito a fare di noi quello che siamo. Per fare questo però la Tv non funziona: bisogna portare in giro il corpo, entrare in contatto diretto con le persone. Niente Facebook o Mtv insomma: ci vediamo per strada.