In the land of grace

Se ami il r’n’r e ti trovi nel Tennessee, com’è capitato a me, finisce che poi vai a Graceland – la leggendaria dimora di Elvis, luogo di culto pop originario e fondativo dei pellegrinaggi del Pop. Su Elvis si possono avere molte opinioni, puó piacere o meno, ma rimane certamente la piú importante popstar della storia. Non è un caso che di Graceland ce ne sia una soltanto, e non esistano Cobainland, Marylinville o Morrisonopoli. Il culto di Elvis non è paragonabile a nessun altro. Elvis è il King e lo sarà per sempre. Per una ragione semplicissima e incontrovertibile, perfettamente spiegata da una frase di John Lennon (riportata da un billboard che campeggia fuori dalla biglietteria): Before Elvis there was nothing. Presley inventa letteralmente tutto: una certa coolness sfacciata, una maniera di tenere il palco, il sapiente mix di sensualità e tenerezza, i capelli (un po’ più) lunghi, il corpo posseduto dalla musica, la sensualità fisica maschile… Prima di lui non c’era niente. Naturalmente sappiamo tutti che molti degli ingredienti della miscela vengono dalla cultura nera, il blues, il gospel. Elvis però li sintetizza in una ricetta nuova, non soltanto più presentabile perchè bianca, ma anche marcatamente giovane ( in contrapposizione a quella adulta), ribelle (in un modo oggi quasi impercettibile) e gioiosamente eversiva. E se prima di lui non c’era niente, significa che Elvis si trova a scrivere delle regole, moltissime delle quali sono valide ancora oggi. Da qusto punto di vista non è solo il Re, ma ha dei tratti geniali e premonitori: se avesse avuto antenne meno sensibili, oggi il Pop sarebbe un pochino diverso, perchè dentro ogni musica Pop, dagli Abba a Zappa, c’è dentro Elvis. Quindi mi sembrava giusto rendere omaggio al Re, visitare la sua dimora e sostare per qualche minuto davanti alla sua tomba (momento compreso nel prezzo del biglietto base).

The Jungle room
The Jungle room

Naturalmente Graceland è un baraccone di souvenir, photo opp con sagome di Elvis, sottobicchieri, grembiulini e giocattoli (esiste pure un Monopoli marchiato Elvis). Sorvolo sull’aspetto geriatrico della vicenda (a tratti pareva di stare a Lourdes), sulla coda di 50 minuti per entrare e sul generale senso di spremitura del mito a cui non si sfugge (Graceland è gestita con ferocia dalla figlia Liza Marie). C’è invece un lato di questa visita che mi ha colpito molto, che non mi aspettavo e che contraddice in parte quello che scrivevo più sopra. Graceland, madre di tutti i Crib delle popstar, non ha niente delle case di Paris Hilton o di Kanye West. È una bella casa a due piani, circondata da una proprietà tutto sommato modesta, con una piscina piccolissima, una cucina comoda e funzionale e un senso di dignitosa ricchezza che riflette quello di dignitosa povertà della sua famiglia. Le bizzarrie da popstar sono davvero innocue: la stanza del biliardo arredata con “ben 100 metri di stoffa”, o il leggendario divano lungo 5 metri, che oggi trovi all’Ikea. La Jungle Room, luogo da favola del mito elvisiano, è un doppio soggiorno che pare arredato da qualcuno con una passione per gli intarsi eccentrici e budget illimitato per la moquette (presente ovunque, in certi ambienti anche sul soffitto). Il piano è solo un baby grand, gli arredi sono decorosamente pacchiani, il tutto fa pensare a una rispettabilità da zappaterra con soldi, non al lusso sfrenato e cocainista di certe case da popstar. Non è certamente una casa da Re, ma quella del mezzadro che ha fatto i soldi ma non ha perso il senso delle cose. Certo, poi ci sono gli aerei privati (non compresi nel mio biglietto), le cadillac e il campo da squash, ma non sembra la casa di un rocker, bensì quella di sua mamma – infatti Graceland era anche casa dei suoi genitori.

The Pool room
The Pool room

Ecco: dalla mia visita a Graceland mi porto dietro innanzitutto l’impressione di un country boy che, malgrado tutto, non ha mai perso il senso della misura. Uno che sotto alla mantellina col sole azteco conosceva esattamente il valore delle cose. Una popstar che perfino davanti al delirio incontrollato che suscitava (non paragonabile a niente venuto dopo) aveva ben chiaro da dove veniva. Un tratto che, nelle popstar successive, è andato sfortunatamente perso.

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