Italiani potenziali

La recente polemica di Pierfrancesco Favino su Enzo Ferrari interpretato da un americano mi pare un ottimo spunto per alcune riflessioni intorno al punto che solleva: “C’è un tema di appropriazione culturale, non si capisce perché non io ma attori (italiani) di livello non sono coinvolti in questo genere di film che invece affidano ad attori stranieri lontani dai protagonisti reali delle storie, a cominciare dall’accento esotico”. Bum: appropriazione culturale, tema attualissimo e controverso. La saga inizia col Blackface, crudele grimaldello culturale che permetteva ad attori bianchi di “comportarsi come i neri”, appropriandone la musica e ridicolizzandone il linguaggio, il vestiario, ecc. Ma la storia del 900 è costellata di appropriazioni culturali: l’Esotismo, le Chinoiserie, Mambo italiano, l’Hip hop brianzolo. Per non dire del passato: Otello è il moro di Venezia, Madama Butterfly è giapponese e Sandokan della Malesia. Le polemiche sulla questione non sono una novità. Due esempi: La casa da tè alla luna d’agosto, film del 1956 con Marlon Brando che fa il cinese in yellow face, e l’esilarante The Party di Blake Edwards (1968) con Peter Sellers abbronzato nella parte di un buffissimo attore indiano. Ambedue gli interpreti (stellari) lavoravano su stereotipi che oggi sarebbero inaccettabili e che furono oggetto di obiezioni già allora.

Negli ultimi anni anche a seguito delle proteste la mentalità è cambiata, innanzitutto negli USA. Se si descrivono minoranze tradizionalmente stereotipate, per esempio i nativi americani, oggi si cerca di rappresentarle correttamente, impiegando attori che appartengono a quei gruppi e descrivendo situazioni credibili. L’Africa non è più il continente nero dove si balla l’Hully Gully e se si deve raccontare l’India si cerca di farlo fedelmente, evitando incantatori di serpenti, marajah ecc. Questo oggi credo valga per qualsiasi film ambientato in qualsiasi paese: si cerca una verosimiglianza anche culturale, in particolare se si raccontano etnie, popolazioni e luoghi tradizionalmente “appropriati” dalla cultura occidentale. Non è solo una questione di correttezza politica, ma anche di restituire spessore e complessità a culture solitamente ridotte a puri stereotipi. Il pur divertente Marco Marzocca che in Tv cavalcava tutti i luoghi comuni sui filippini oggi sarebbe inaccettabile – grazie al cielo. Lo stesso discorso vale per altre minoranze: se è possibile che un attore etero interpreti un personaggio omosessuale, non può più farlo come si faceva una volta. Poi ovviamente ci sono le eccezioni, spesso legate a interpretazioni stratosferiche: Brando non era italiano ma nessuno patisce la sua interpretazione di Vito Corleone. Il ruolo di De Niro in Goodfellas è Jimmy “the Gent” Conway, gangster irlandese-americano. L’ultimo esempio che ricordo è il sublime Walton Goggins, la cui pirotecnica transessuale Venus Van Dam (con puppe prostetiche mirabolanti) nella serie Sons of Anarchy è stata però anche oggetto di furiose polemiche – magari in parte perfino legittime.

Come dicevo, questo criterio si applica innanzitutto alle “minoranze” storicamente mal rappresentate come gli/le LGBTQ+, o culturalmente appropriate dagli occidentali come i neri o gli asiatici. Non ho mai sentito un belga lamentarsi perché interpretato da un francese, e spesso capita di vedere attori americani in ruoli inglesi o viceversa. Inoltre mentre forse gli svedesi sono quasi tutti dello stesso tipo (biondi, alti, occhi chiari, ecc) e magari potrebbero essere confusi con altri scandinavi, noi italiani non siamo affatto simili tra noi. Alla faccia del ministro Lollobrigida l’etnia italiana è un concetto inesistente: friulani o sardi? Calabresi o altoatesini? Favino o Capannelle? Noi italiani siamo tante cose: figuratevi che Iron Eyes Cody (nella foto), l'”indiano” più popolare del cinema americano negli anni ’30/’40, era siciliano.

C’è quindi un tema di appropriazione culturale? Forse no. Essere attori credo significhi proprio saper diventare altro da se. Cambiare età, nazionalità, classe sociale, orientamento sessuale e carattere restando credibili – e nel 2023 anche evitando gli stereotipi del passato (come la descrizione dell’omosessualità in moltissimi film comici italiani). Bisogna decidere: se noi italiani siamo una minoranza storicamente rappresentata attraverso stereotipi negativi (come sostenne con vigore la National Italian-American Foundation quando uscì The Sopranos) possiamo reclamare una rappresentazione più fedele: meno pizze e mandolini, please. Però l’idea che solo un italiano possa interpretare un italiano mi pare pericolosa (a Larissa Iapichino che parte le diamo?) e un po’ paracula: Favino lamenta l’accento esotico finto di Ferrari (e di molti altri film). Fa bene, è orrendo: purtroppo però l’accento esotico è l’unico che Pierfrancesco sa fare, condannato così a fare solo italiani a vita – e se gliene sfilano uno rosica un po’.

Foto: Los Angeles Times Photographic Collection at the UCLA Library (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Iron_Eyes_Cody_at_Indian_show.jpg)

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