Torno sull’argomento “La bella canzone di una volta” (titolo di una stupefacente canzone degli Elio e le Storie Tese) dopo aver assistito a una bella lezione di Walter Prati dedicata al suo modo di fare musica. Una delle osservazioni fatte da Walter mi sembra utile per tutti: “Una volta nei film c’era lo spazio per la melodia, mentre oggi lo stile di montaggio è molto più adatto al Sound Design, e spesso la musica è composta di nuclei più brevi, di immagini sonore piuttosto che di temi veri e propri.” Naturalmente si trattava di una considerazione tecnica, senza rimpianti: la musica elettronica, di qualunque matrice, è da sempre più sound design che melodia, quindi questa convergenza sembra molto naturale e tempestiva.
Com’è noto la musica si compone di quattro elementi: melodia, armonia, ritmo e timbro – tradizionalmente in quest’ordine. Tant’è che alla Siae gli bastano la melodia e un accenno di armonia per consentire l’attribuzione di un’opera. E’ altrettanto noto che il secolo scorso è stato anche definito il secolo del timbro; mai come nel ventesimo secolo questo elemento ha subito una vera rivoluzione in tutti i generi musicali, molti dei quali si differenziano tra loro anche per un diverso suono: penso ai sottogeneri del Metal – ma anche a Hendrix o Sun Ra. Non solo, ma il 99% della ricerca tecnologica in campo musicale riguarda il timbro; nuove forme di sintesi, filtri e modulatori sempre più adatti all’uso in tempo reale, algoritmi di compressione in grado di alterare radicalmente la dinamica: “come suona” sta diventando tanto importante quanto “cosa suona”.
Meno detto, ma altrettanto ovvio, è che buona parte del secolo scorso potrebbe essere definito l’era del ritmo. Prima il Jazz, e la Classica (quella più pop, come Bartok o Stravinskij), poi il Rock’n’roll, il Rhythm’n’blues, la Disco, il sequencing digitale – che per la prima volta piega il ritmo al volere del compositore, consentendo una raffinazione negli incastri impossibile prima (ha fatto in tempo a accorgersene anche Frank Zappa, che ha usato il Synclavier proprio per ottenere timbri e ritmi impossibili in natura). E l’Hip hop che, grazie alla quantizzazione variabile consentita da alcune batterie elettroniche, esplora nuove aree negli incastri del Funk. E poi la grande famiglia della House, della Techno: si potrebbe sostenere che la cassa in quattro sia il blues del terzo millennio, un terreno comune nel quale convivono Gigi D’Agostino e Aphex Twin, DJ Molella e Thomas Fehlmann – insomma dei maranza senza pietà e quelli che vengono considerati raffinati compositori elettronici.
Quindi che la musica da film, e il montaggio cinematografico, si siano evoluti non solo a me non dispiace, ma mi pare giusto e inevitabile. Il cinema è un’arte pop molto sensibile agli stimoli della contemporaneità. E’ vero che al cinema non si sentono più le lunghe melodie di una volta; ma nel mondo non ci sono più quelle melodie. Al cinema invece, si sentono sempre più spesso fantastici lavori di integrazione di effetti, colonne di dialogo e musica: composizioni moderne dove il timbro (che nel cinema forse potrebbe essere la fotografia) e il ritmo – che certamente è il montaggio – diventano elementi sostanziali nella qualità di un film; non è un caso che il direttore della fotografia e il montatore siano diventati coautori a pieno titolo. Un musicista di questo genere è Angelo Badalamenti, genio assoluto nello scrivere immagini sonore moderne. Naturalmente, per chiunque la rimpiangesse, la colonna sonora anni ’50 sopravvive in certa cinematografia passatista, sviolinante e piovana. Ma nessun autore ha i denti che avevano Morricone e Rota, col risultato che la bella melodia di una volta resta quella di una volta: peraltro ancora ben godibile nei film di una volta.