Capita che una decisione sbagliata, ingiusta e anche lievemente imbecille, e cioè la sospensione dei programmi di approfondimento Rai durante la (peraltro inesistente) campagna elettorale scorsa, produca degli effetti culturali interessanti. Nella fattispecie mi ha chiarito il senso di un’espressione che si usa esclusivamente qui in Italia: il Paese Reale. Un’entità che tutti i politici rivendicano come familiare, e di cui spesso si vantano di avere il polso, comprendere le pulsioni, i desideri e le aspirazioni. Non essendo un politico, e avendo una spiccata preferenza per la gente che invece ha un lavoro degno di questo nome (non necessariamente lo spaccapietre, ma qualcosa che sia meglio di non combinare una mazza, e nemmeno pensare – che ci pensa il capo – a centinaia di migliaia di euro l’anno), mi sono sempre chiesto cosa si intendesse per paese reale, e se il suo contrario fosse invece un luogo irreale, virtuale, immaginario… Poi, grazie alla Par Condicio, mi s’è accesa una lampadina: il contrario del paese reale è proprio il paese televisivo.
L’Italia soffre di questa schizofrenia in maniera quasi terminale, in moltissimi campi. La classe politica ovviamente è un buon esempio: esiste quasi esclusivamente nel paese immaginario, e se glielo spegni questa scompare completamente. E si può capire: chi mai voterebbe certi personaggi inutili e incolori che affollano ambedue gli schieramenti? Costoro, eletti d’ufficio grazie a una legge elettorale delle banane, esistono solamente perché Vespa dà loro la parola: nel paese reale non sopravviverebbero due giorni, altro che eletti in Parlamento. Questo popolo irreale ribadisce con frequenza la sua presunta connessione con la realtà proprio perché non esiste (un po’ come Silvio quando si dice che è bello da solo), sottolineando così la profonda, insanabile cesura tra i due paesi.
Ma anche nell’entertainment il paese è diviso: la Tv è piena di gente che non sopravviverebbe un minuto nella realtà, e viceversa. Non bisogna farsi fuorviare dagli ascolti: alla gente, se ha voglia di guardare la televisione, gli tocca ciucciarsi quello che c’è dentro, ma non credo proprio che sarebbe disposta a spendere del denaro (e tempo) per andare a vedere Silvia Toffanin, Gigi Marzullo o Augusto Minzolini esibirsi nel paese reale. Esistono prove conclusive su questo: Fiorello (che invece lavora, e molto bene) ha trapiantato con successo il suo show dal paese immaginario a quello reale. Quanti altri ce l’hanno fatta? Davvero pochi.
Perfino nella musica esiste questa separazione – forse perfino più profonda. Come sappiamo esiste una speciale categoria di “cantanti” che vivono in uno stato di ibernazione semi-vegetativa e ogni anno, verso febbraio, vengono riportati in vita per partecipare a Sanremo. Team di esperti, medici e sciamani si occupano della sopravvivenza di queste entità ectoplasmiche che, dopo aver dato il meglio di se sul palco dell’Ariston (eh già: quello è il massimo che riescono a fare. Pazzesco, no?), vengono immediatamente risurgelati per un altro anno. Questo anche per proteggerli da un’atmosfera per loro velenosa e mortale, appunto il paese reale. Con un risultato bizzarro, e triste: la musica italiana reale è proprio buona, non proprio abbondantissima ma di livello eccellente. Essendo reale però, questa musica di solito non appare nel paese immaginario, dove invece la situazione è tremenda: disadattati senza voce, vecchi scoreggioni stonati che non gliela fanno più, zoccole afone raccomandate da portaborse, catto-gallinacci che strombettano storie edificanti… Per fortuna però la quasi totalità di noi vive in un paese diverso, reale, e questi esseri irreali li guardiamo solo da dietro un vetro, quello della Tv. Che mi piacerebbe fosse anche anti-sfondamento: non sia mai che mi ritrovo la casa piena di mostri.