Della vicenda di Facebook, di Cambridge Analytica e della raccolta subdola di milioni di dati personali, oltre al fatto che si sono inquinate delle elezioni (certamente non solo in America) noto un altro aspetto, secondo me illuminante. Oramai sappiamo tutti che se qualcosa è gratis, la paghiamo in qualche altro modo. Sappiamo anche che tutte le grandi aziende digitali raccolgono i nostri dati: qualcuno di noi cerca di difendersi (ne ho scritto qui qualche mese fa), altri se ne fregano e si abbandonano, in molti si domandano a cosa gli serviranno mai tutti questi dati. Adesso hanno una risposta. L’aspetto che mi colpisce oggi sono le parole di Zuckerberg, che nella sua prima dichiarazione sull’argomento si scusa con gli utenti, e annuncia che da oggi cambieranno le modalità con le quali Facebook condivide i dati con altre aziende. Oltre a essere ampiamente fuori tempo massimo, tre anni dopo aver diffidato la stampa dal pubblicare notizie sui dati raccolti a insaputa degli utenti, la dichiarazione mi pare vagamente surreale. Le altre aziende?
Facebook apre al mondo nel 2006, promettendo di connetterci coi nostri amici. Il giocattolo funziona, ma da subito è evidente (ripeto: evidente) che lo scopo è raccogliere dati personali, aggregarli e creare dei profili. E’ tuttora così. Il meccanismo stesso, con la timeline, le foto, lo shopping, i mi piace (di recente ulteriormente declinati, così Zuck può sapere se il nostro like è ironico o indignato): grappoli di informazioni che Facebook incamera, elabora e ovviamente utilizza – per “migliorare la nostra esperienza”, ma soprattutto le sue finanze, come qualsiasi azienda del mondo. Basta andare nelle preferenze della privacy per vedere che di default tutto gli è concesso, tutto acceso, tutto io accetto. Questa è la condizione di partenza, e queste opzioni sono nascoste dentro dei sottomenù, che naturalmente la stragrande maggioranza degli utenti non vedrà mai – proprio come vuole Zuckerberg. Lui sostiene che lasciandole accese avremmo un’esperienza sociale migliore, ma io, come chiunque legga i giornali, so benissimo che mi sta prendendo per fesso: così lui ramazza i miei dati. Non avendo installato alcuna app di Facebook sul mio telefono, non posso leggere i messaggi, e ogni volta mi ricorda che dovrei installare Messenger. Perché? Per migliorare la mia esperienza sociale? Ma che davvero Zucko pensa che io sia così sprovveduto? Vuole i miei dati mobili, oltre agli altri. Quindi Facebook esiste esclusivamente allo scopo di raccogliere informazioni personali. Non c’è alcuna altra ragione, non esiste alcun altro profitto – o davvero qualcuno pensa che Facebook campi di quei banneretti?
Adesso il Senato Americano e l’Unione Europea vogliono sentire Zuckerberg di persona, e fargli un sacco di domande. Siccome non mi fido dei politici, ho paura che gli facciano quelle sbagliate, anche se legittime. Gli chiederanno conto di Cambridge Analytica, lui si scuserà e dirà che non lo farà più. Vorranno sapere se ci sono stati altri casi, lui probabilmente negherà. Gli diranno di fare più attenzione, lui prometterà. Ma le domande giuste, da fargli sotto giuramento, sono altre: in che modo Facebook ha utilizzato i dati che custodisce dal 2006 a oggi? A quali aziende ha venduto questi dati? E come sono stati usati? Perché influenzare delle elezioni forse è illecito, ma – per esempio – manipolare l’opinione pubblica sul tabacco, sulle armi, sui danni dello zucchero (argomento sgradito alla Nutella) o di certi medicinali mi sembrerebbe altrettanto riprovevole.
E poi la domanda fondamentale: se proibissimo a Facebook qualsiasi utilizzo di quei dati, di cosa vivrebbe? Come potrebbe rimanere una delle aziende più ricche del mondo? E’ sicuro, sig. Zuckerberg, che la sua piattaforma avrebbe ancora un senso, un business plan, una ragione di esistere? Come dice? Connetterci coi nostri amici? 😂