Trovo che la discussione sulla proposta di far pagare ai provider di banda larga (specialmente quelli che la offrono molto larga) almeno una parte (c’è chi dice addirittura il 100%) dei diritti su musica, film e serie tv scaricati dagli utenti offra spunti interessanti. La logica dietro questa idea è ben sintetizzata da una frase di J-Ax (riportata non a caso da Viva Verdi, il bollettino della Siae): “Diciamoci la verità, l’Adsl serve per scaricare musica e video, non per leggere la posta o consultare il conto corrente.” Dunque chi ha una connessione veloce ci scaricherebbe file illegali. Non nascondiamoci dietro un dito: nella stragrande maggioranza dei casi questo è vero, specialmente tra gli under 35. Quindi parte di quello che si paga al provider per scaricare contenuti potrebbe andare agli aventi diritto di questi contenuti.
Vale la pena di proseguire il ragionamento: dunque gli utenti dovrebbero pagare i diritti (attraverso i provider, che naturalmente aumenterebbero le tariffe). Ma i diritti per cosa? Non quelli legati alla conversione dei file (si cui anni fa la FIMI chiese un grottesco finanziamento), dato che è a cura degli utenti. E nemmeno quelli legati ai costi di fornitura: lo scambio avviene utilizzando la propria banda. Quindi la logica sarebbe che Eros fa un disco, e chi se lo scambia paga esattamente come chi lo compra da Itunes? Se chi scarica da me di fatto compra da me, dovrei avere la stessa percentuale di Itunes, o no? O ci si aspetta che il mondo diventi un immenso negozio di dischi automatizzato, dove le case discografiche (e gli autori) incassano a bordo piscina, senza sforzo?
La ragione per cui le reti P2P prosperano mi pare una sola: la scarsità, e il poco realismo, delle alternative. Oggi un file musicale legale costa 99 centesimi, un album 9,90. E’ troppo? Non secondo la logica di autori e editori, che rappresenta bene quanto sia old school, o se preferite gerontocratica, l’industria. Se devo comprarmi un CD a 27 euro, 9 e 90 è un affarone. Ma proviamo a vederla dalla parte di chi scarica: conosco gente che ha decine di migliaia di brani, e ne scarica al ritmo anche di 50 al giorno. Alle attuali tariffe farebbe 49,50. Di quelle 50 canzoni (che solo per sentirle una volta ci vogliono tre ore) magari ne terrà 2, di cui una gli finisce anche nell’Mp3 player. Quindi di quei 50 brani, 48 vengono ascoltati (che è poi la ragione per cui si pagano dei diritti) una volta e poi cestinati. Questo è ottimo: consente di conoscere tantissima musica anche diversa, che tanto poi se non piace si butta, allargando gli orizzonti degli ascoltatori (e magari anche il mercato degli autori).
Quindi non mi pare che tassare i provider sia la soluzione. Questi invece farebbero bene, ogni anno, a abbassare le loro tariffe: la banda costa costa la metà ogni 18 mesi, e questa riduzione non si riflette mai sugli utenti. Penso invece che l’unica possibilità sia di abbandonare le logiche del ‘900 e entrare nel terzo millennio. Dato che l’idea di tariffe flat non piace all’industria, ecco una controproposta. I contenuti dovrebbero essere gratuiti, e anzi la diffusione dovrebbe essere incoraggiata e premiata: più scambi e più sei bravo. I diritti invece dovrebbero essere pagati per l’uso che se ne fà: se scarico un film e lo vedo una volta, perchè mai dovrei pagare come se lo rivedessi una volta l’anno (com’è adesso, e com’è stato da sempre)? Idem per una canzone: se l’ascolto una volta è ben diverso che se la metto in loop tutto il giorno. La tecnologia già ci sarebbe, o comunque è dietro l’angolo. Ma anche il prezzo dovrebbe essere davvero nominale, ed è questo aspetto che mi preoccupa: per un secolo l’industria discografica ha dimostrato un’avidità incontenibile, tant’è che a un certo punto la clientela ha detto basta, e ha iniziato a rubare. Che l’industria ora si lamenti mi pare comprensibile; se però l’idea è di tornare a fare come prima, e allora sempre viva BitTorrent.