Lei chi? Lei tu

La prima volta che te lo danno imbarazza un po’; di solito succede verso i 18 anni, e per me fu sorprendente: minghia, mi stanno dando del lei. Ovviamente io lo davo a un sacco di gente adulta, così ne dedussi che stavo diventando grandicello. Questa espressione di rispetto, che nel sud d’Italia è il voi (vivamente consigliato dalla Campania in giù, essenziale a Napoli), esiste in tutte le lingue del mondo. E’ vero che l’inglese ha soltanto you, ma in questo caso diventa importantissimo l’appellativo (mister, miss, ecc.); quindi l’equivalente del nostro “diamoci del tu” per loro è una domanda: “May I call you Mary?” E, a differenza che da noi, in moltissimi posti nessun estraneo si sognerebbe mai di chiamarti per nome: in Giappone per esempio ti ci chiamano solo gli intimi, e socialmente tu sei il tuo cognome.

Se questa doppia formula esiste praticamente ovunque magari una buona ragione c’è, o anche più di una. Beh, la prima che mi viene in mente sono quelle situazioni in cui personalmente non riesco a dare del tu: persone anziane o che comunque a me sembrano irraggiungibili, gente che magari conosco da una vita intera (la mia), che era adulta quando io bagnavo il letto. In questi casi resto un ragazzino: dò del lei ma voglio che mi si dia del tu. E’ una questione di rispetto, e mi piace molto che il mio linguaggio lo contenga anche nella forma. Faccio sforzi sovrumani ma raramente riesco a fare il salto: magari passo al nome, ma resto al lei.

Naturalmente poi si usa automaticamente con molte persone ogni giorno, dai negozianti al postino. E’ il modo standard di rivolgersi agli estranei, lo facciamo tutti, e quando non si usa sentiamo che c’è una ragione: un poliziotto che ti da del tu probabilmente ce l’ha con te; se nel corso di una discussione si passa dal lei al tu il segnale è chiaro. Per la stessa identica ma opposta ragione penso sia sano dare del lei a cassieri, help desk, camerieri ed altri che lavorano a contatto col pubblico. Certo che il tu sarebbe più cordiale (specialmente tra coetanei), ma io sono seduto e chiacchiero mentre lui mi porta il primo; dargli anche del tu (mentre magari lui è obbligato a darmi del lei) mi sembrerebbe davvero irrispettoso. Insomma nelle situazioni “sbilanciate” (come il guaglione dell’idraulico che mi viene a disintasare il water) il lei mi pare sempre più adatto: non è “lo sturacessi” ma “il signor Pizzelluttis, apprendista idraulico”: una bella differenza, no?

In Italia poi c’è un’abitudine che trovo odiosa: dare del tu agli extracomunitari – preferibilmente di colore più scuro. Lo fa un sacco di gente anche simpatica che pensa così di essere più alla mano, e non è infrequente sentire dei ventenni dare del tu a persone che potrebbe essere loro nonni. Pessimo, e non solo perché sottrae loro una cosa di cui hanno pieno diritto (e spesso grande penuria) e cioè il rispetto formale, ma anche perché se in italiano loro danno del tu a tutti (essendoselo sentiti dare sempre, magari non conoscono altre formule) nella loro lingua state sicuri che non lo fanno: per esempio gli africani, che perlopiù parlano un ottimo francese, usano moltissimo il voi (l’equivalente francofono del tu) e i monsieur si sprecano.

Insomma l’opzione lei a me piace, e apprezzo chi lo usa. Ovviamente non tra di noi: nessuno dei lettori che ho incontrato se l’è mai sognato, e giustamente. Ma nei contatti occasionali tra estranei e’ un passe-partout insostituibile: mette una certa distanza tra me e chi ho di fronte, che magari è una persona deliziosa ma io non posso saperlo prima (in Italia per esempio uno su tre ha votato Forza Italia, tanto per dire) e rende più neutra una comunicazione che non ha alcun motivo di essere altrimenti: non sgradevole o aggressiva, ma semplicemente alla giusta distanza. Perché partire dal tu? La prego, diamoci del lei e vediamo come va. Poi, quando avremo mangiato insieme (come diceva l’immenso Totò), allora magari se ne riparla.