Fai musica? Allora devi essere su Myspace, la community più in voga del momento, nonché l’esperimento di social networking più osservato dall’industria.
Fin a qualche tempo fa, uno dei Future shock più potenti della rete, specie per chi era già adulto, era l’apparente abbattimento delle barriere. Capitava di scrivere al sito di un musicista e ricevere una risposta dal diretto interessato; o di trovare tracce del suo passaggio nei forum o in un blog. Questa immediatezza era legata a un’idea romantica e minoritaria della rete: come mi ha detto Jovanotti, uno degli early adopters italiani, “poi ho dovuto smettere di tenere un blog perché trovavo i miei post citati con rilievo sulla stampa”. Ovviamente con la diffusione di massa delle connessioni, questa separazione tra mezzi si è andata assottigliando, e oggi è molto raro che un artista risponda personalmente alle email in arrivo sul suo sito.
Se questo è vero, risulta sorprendente il successo di Myspace (del gruppo Murdoch), il nuovo, inevitabile servizio di social networking online rivolto a musicisti, fans e altri ancora. Perché ci si trovano davvero tutti, quasi senza eccezione. Dai Subsonica (come band e qualcuno anche singolarmente) ai Metal Detektor di Cosenza fino a Mousse T e NIN. Tutti uguali, ognuno con la sua paginetta, il suo player e i suoi amici. Myspace consente di creare relazioni tra persone (con la funzione Add friend) e di lasciargli dei messaggi. Questo meccanismo, insieme all’apparente uguaglianza e alla musica in streaming (praticamente istantaneo, con una buona connessione), sono la grande differenza rispetto a passate iniziative simili, come Vitaminic. Quindi posso aprirmi il mio spazietto, metterci il mio demo, farmi un po’ di buoni amici come Sean Paul, Black Eyed Peas e Limp Bizkit e sentirmi un po’ P.Diddy anch’io. Certo che poi i Metal Detektor ne hanno 8 e Busta Rhymes invece 124.946; che il loro profilo è stato visto 43 volte contro 1.328.549 dei Metallica. Però ci sono, e sono “uguali”. Fattostà che anche in Italia sta fiorendo un piccolo mercato di personalizzazione e mantenimento degli spazi dei VIP su Myspace, accettando amici, aggiornando la musica e inviando, a chi li ha aggiunti come friends, l’onnipresente messaggio “grazie per l’add”.
Se Myspace è ideale per una band emergente, nel caso dei VIP il discorso è più complesso. Rappresenta una piazza pubblica, uno struscio planetario dove farsi vedere, far ascoltare i propri prodotti (non scaricare, naturalmente), mostrare i video, mettere un link al proprio sito e comunque esserci. E’ una specie di Elenco del telefono della musica Pop, dove i nomi sono tutti uguali ma l’uguaglianza finisce lì. Su Myspace gli amici che contano sono i primi 8, i Top friends, visibili nella propria pagina principale; gli altri si vedono solo andandoci apposta. Quindi 50 cent ha come Top friends i suoi protetti, mentre gli Evil Armpit di Roma hanno gli Slayer, i Testament e i Sepultura (ma anche, per fortuna, qualche amico più genuino).
Myspace naturalmente è gratis; l’unico vincolo è che per accedere ai contenuti extra (foto, video, ecc.) bisogna essere membri. Certo c’è la pubblicità, ma non credo che copra nemmeno parte degli immensi costi di gestione: si dice che Youtube (un servizio simile ma basato sul video) spenda un milione di dollari al giorno solo di banda (il volume di dati necessario allo streaming). E allora qual è l’economia dietro a servizi del genere? Sempre i soliti vecchi dati personali, profili utente, ecc. Solo che in questi casi non è più solo chi guarda cosa, ma chi mette, cosa mette e che effetto produce sugli altri utenti. Il fenomeno dei video virali (sempre più spesso pubblicità occulta) è l’esempio perfetto: siti come Flickr (foto), Youtube o Google Video e Digg (community di news) osservano attentamente quello che succede, per sapere cosa succederà e farlo succedere a loro vantaggio. Ovviamente per molti il gioco vale la candela, e i servizi offerti sono tali da valer bene qualche dato personale. L’importante, come sempre, è saperlo – possibilmente prima.