Low-Fi Porno

L’erotismo è da sempre un fatto soggettivo e personale. Tant’è che tra le principali obiezioni da sempre rivolte alla pornografia tradizionale c’era proprio l’oggettivizzazione dello sguardo, che non lasciava margine all’immaginazione – oggi si direbbe all’interattività. Il crudo primo piano genitale serviva a certificare l’avvenuta penetrazione e quindi l’appartenenza al genere Hardcore. La durata della performance, i vari cambi di posizione, le espressioni facciali e in molti casi il sonoro, venivano delegati al montaggio – esattamente come nel cinema. Nessuno pensa che la strage de Il Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah sia stata girata in tempo reale: lo stesso vale per il cinema porno degli anni ’70 e ’80. Con l’avvento del digitale le cose iniziano a cambiare: nascono nuovi generi, come il Point of view o il Gonzo porn, impossibili da realizzare con le cineprese. Ma, com’è noto, negli anni ’90 succedono altre cose fondamentali nella vicenda del porno: arriva Internet, si diffondono i computer, le cineprese, le webcam. A fianco della pornografia industriale ne nascono altre due: una più agile, assai simile a certe aziende della new economy: 2/3 persone che fanno tutto, e il cui marchio di fabbrica di solito è uno stile. E poi l’esercito degli Amateur, i dilettanti, che vogliono esserci e finalmente possono.

Il fatto è che queste persone hanno iniziato a produrre materiale assai diverso dal solito, sia per genere di regia (per esempio niente più dettaglioni splatter ma inquadrature larghe e lunghe, per certificare la realtà di quello che si filma) che di set: strade, auto, parchi, feste (come il famoso Mardi Gras di New Orleans), motel o cessi pubblici. In alcuni casi l’idea di fotografare o filmare viene a gioco già iniziato, in altri l’immagine è rubata con lo zoom. Comunque sia, sembra prevalere una regola: usare il mezzo più agile, comodo e tascabile, non il più evoluto – e la qualità non importa. In fondo, chi avrebbe mai creduto al video del pestaggio di Rodney King se fosse stato girato in alta definizione, con 4 telecamere e l’audio in stereo? E’ anche la bassa qualità a certificarne l’autenticità. Come sa benissimo chiunque abbia guardato una puntata di Real Tv su Italia 1: in certi casi non si vede quasi niente, ma è proprio quel quasi che funziona: ci tiene sul bordo del divano e ci costringe a integrare quello che vediamo con quello che immaginiamo.

Molta pornografia amatoriale funziona proprio con lo stesso principio. La differenza tra un pompino eseguito da un’attrice porno in favore di camera, ben illuminata e col trucco rifatto e quello filmato in un vicolo buio col cellulare, è la stessa che intercorre tra un inseguimento girato da Tony Scott e uno trasmesso da Real Tv. Nel primo caso ci rilassiamo e ci godiamo gli effetti speciali, già sapendo il finale. Nel secondo invece stiamo bene attenti a cogliere tutto quello che l’immagine ci manda – e aggiungere quello che non c’è – sapendo (o forse sperando) che potrebbe davvero succedere tutto (anche se poi Real Tv delude assai; ma c’è sempre Youtube). Non solo, ma oggi piace molto il linguaggio low-fi, sappiamo distinguere una vera intercettazione telefonica da una ricostruita (anche proprio grazie alla qualità) e riconoscere al volo l’immagine di una telecamera di sorveglianza (un genere di porno assai diffuso: immagini di gente che tromba per le scale dell’ufficio o nella stanzettina del Bancomat, intercettate dagli addetti alla sicurezza e sparate su Internet). Quindi per molti è naturale ricercare lo stesso genere di emozione nel porno. La qualità di queste immagini è spesso ai limiti dell’invisibilità, e a volte al di sotto. E’ una sorta di porno di Rorschach, dove ognuno vede quello che la sua mente gli suggerisce. Pornografia molto soggettiva quindi, e per questo forse anche un pochino sovversiva.

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