Come forse sapete se frequentate questa pagina sono molto interessato alla modernità, al presente (o al futuro), all’adesso. Fino al punto da mettermi nei guai per quest’idea, polemizzando con tutto ciò che anche solo sembra passatista. L’ho detto e lo ripeto: qui da noi c’è troppo passato, e questo spesso impedisce al futuro di accadere. Detto questo, io a volte vivo nel passato, e ci sto benissimo. E’ un passato non remoto, che posso vivere grazie a una tecnologia. E’ sempre così: grazie alla pittura a olio possiamo rivivere il ‘400, e grazie allo scalpello possiamo ammirare la venere di Willendorf, e immaginare chi l’ha realizzata – tra 24.000 e 26.000 anni fa (nella foto). Ma di tutte le tecnologie che conosco, la più adatta a restituire il corpo (di una persona, ma anche di un luogo o una situazione) è di gran lunga la registrazione sonora. Come sappiamo bene, l’orecchio e il cervello hanno un collegamento tutto speciale: ecco come mai risentire una canzone o una voce del nostro passato è un’esperienza così potente. L’odore ha un effetto simile, e a volte il gusto: raramente la vista. Ascoltare una registrazione effettuata molti anni fa, o molto lontano da noi (fisicamente o culturalmente) ha il potere di portarci lì, in quello spicchio spazio-temporal-culturale.
Ultimamente sono fissato col Blues. Non il Blues in generale, che ho sempre amato, ma quel mix speciale di malinconia (il co-significato della parola Blues) e Braggadocio (che significa baldanza, nel senso di vantarsi) che chiamiamo Delta Blues. Grazie a alcune buone letture (una su tutte il fantastico Deep Blues di Robert Palmer) e a Amazon, mi sono ricostruito una storia sonante del Blues del Delta del Mississippi, facendo alcune esperienze di trasmigrazione spazio-temporal-culturale – e ascoltando dell’ottima musica.
Muddy Waters è stato registrato per la prima volta da Alan Lomax il 24 agosto del 1941, nella piantagione di Stovall, Mississippi. Sono 18 tracce, e 4 brani di intervista. La registrazione è stata effettuata nella casa di Waters, col registratore in cucina. Naturalmente la musica è sublime, se vi piace il Delta Blues, ma la vera emozione sta nelle pause, nella voce di Muddy ritrosa, fiera ma timida, nella sicumera di Lomax, che a modo suo tenta di fare lo scienziato. E nel suono, nel breve rimbombo della casetta di legno di Waters, recentemente comperata, restaurata, Disneyzzata e spedita in tour dalla House of Blues. In quel suono c’è quel momento (così importante), quel luogo (così denso), quelle persone così essenziali nella storia del genere (forse addirittura umano).*
Di Blind Willie Johnson abbiamo trenta registrazioni in tutto, effettuate in cinque session tra il ’27 e il ’30. Nato nel 1897, BWJ non solo è vissuto miseramente, ma: “Nel 1945 la sua casa bruciò completamente. Non avendo nessun posto dove andare, rimase a vivere nelle rovine, dormendo su un letto bagnato. Due settimane dopo contrasse la polmonite e morì” (da Wikipedia). Johnson è uno dei musicisti più influenti della storia della Popular Music: tanto per dire, i Led Zeppelin inclusero la sua foto (una delle due esistenti) sulla copertina del secondo album, e Ry Cooder (che è assai colto, oltre che bravo) ha pubblicamente dichiarato che la colonna sonora di Paris, Texas di Wenders (da lui realizzata nell’83, e forse il suo maggiore successo) ha un notevole debito con BWJ: io andrei anche oltre. Se siete estimatori di quella musica non fatevi sfuggire Dark was the night, cold was the ground. In 3’22” Johnson narra la passione di Cristo senza usare parole, ma solo vocalizzi e slide guitar, riportandoci in un momento spazio-temporal-culturale assai notevole (la registrazione è del ’27), e producendo la performance forse più emotivamente intensa mai registrata (sicuramente la più intensa che io abbia mai sentito)**. Talmente universale che è stata inclusa nella capsula spedita nel ’77 dalla Nasa alla ricerca di altri mondi: un’ottima, sublime, perfetta idea – mille grazie.
* The Complete Plantation Recordings, Chess/MCA
** The Complete Blind Willie Johnson, Sony
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