Spesso si dice e scrive che la tecnologia aiuta chi si avvicina alla musica, e oggi chi desidera produrne è più facilitato rispetto a qualche anno fa, grazie ai computer. Questo è certamente vero da molti punti di vista; è uno di quei concetti però che sarebbe bene non ripetere troppo spesso, perché a pensarci bene potrebbe rivelarsi non proprio completamente vero. Si dice che oggi fare musica è alla portata di tutti: questo è vero se uno vuole suonare il sintetizzatore, o comunque fare musica elettronica. Volendo invece suonare il liuto, la situazione è esattamente la stessa del 1955. Un contrabbassista ha gli stessi problemi che aveva nell’80, e anche chi suona le percussioni classiche sa di dover avere un’automobile capiente. Non solo: una band rock che voglia registrare un demo ha pochissimi vantaggi economici o logistici dalla tecnologia; certo, la qualità delle registrazioni magari è migliore, ma comunque bisogna sempre andare in studio a registrare e mixare, ci vuole il fonico, la sala, ecc. Quindi la rivoluzione tecnologica tocca in maniera sostanziale soltanto uno dei settori della produzione musicale, quello dell’elettronica. Certo che poi oggi si usano i computer anche per fare i dischi di Andrea Bocelli, ma restiamo in una zona assai limitata dell’universo di chi fa musica. Chi ha una band ha i soliti problemi. Naturalmente questo fatto incide enormemente sulla scelta dello strumento e, a fronte di molte chitarre ancora vendute, aumenta ogni anno il numero di quelli che scelgono di avvicinarsi alla musica utilizzando lo strumento, anche musicale, che hanno già in casa, a portata di mano: il computer.
Si dice anche spesso che, sempre grazie ai computer, l’insegnamento della musica sarebbe più semplice. Quindi oggi, grazie all’introduzione dei PC nelle scuole, si potrebbe finalmente colmare questa enorme lacuna del nostro sistema educativo. Questo è certamente vero a un livello assai basico: un software può certamente insegnare il solfeggio o il circolo delle quinte. Ma niente può, e dovrebbe, sostituire l’esperienza diretta di produrre suoni facendo vibrare l’aria – anche solo per sapere com’è. L’esperienza di “toccare” (come dicono in Spagna) uno strumento, di “giocarci” (l’espressione usata in Francese e Inglese), serve molto anche a chi poi farà musica elettronica. Non solo, ma tutti i bambini dovrebbero provare la gioia esilarante di fare musica (o anche solo chiassofonia) d’insieme. Un’esperienza che, semmai faranno i musicisti, è assai raro che proveranno. Uno degli effetti collaterali della musica elettronica infatti è di aver sovvertito una regola assai antica: la musica si fa insieme. Quando ero piccolo, mi ricordo l’epopea della prima musica fatta in solitudine: rarità, eccentricità, come il brano The love scene di Jerry Garcia, realizzato per la colonna sonora di Zabriskie Point, o certi Brandemburghesi con la sinusoide; i primi, terribili album fatti col Moog. Tutta l’altra musica era fatta da tanta gente, a volte grandi folle come nella musica classica. Da una decina d’anni l’inversione di tendenza è totale: nessuno si sognerebbe mai di pubblicizzare un album elettronico fatto da solo, e invece si mettono in evidenza gli ospiti, semmai ce ne siano: la musica d’insieme insomma si avvia a diventare una rarità esotica. Che questo sia un male, anche per la musica elettronica, mi pare piuttosto evidente.