Milano

Attenzione: questo articolo è diviso in due parti, Milano e Roma, che verranno pubblicate in questo e nel prossimo numero di Rumore. Eventuali proteste verranno prese in considerazione solo dopo la pubblicazione del secondo articolo.

Amo questa città, capitale italiana degli stronzi; ci abito da 15 anni, con gioia. Per chi non l’apprezza, Milano ha tutti i difetti: è grigia, scortese e senza pietà. E’ la città dei soldi e della competizione, della moda e dei rampanti. Però è anche la città più accogliente d’Italia, e non quell’accoglienza nasuta e giudicante del sud: Milano non rifiuta nessuno, e pare sia così da sempre. Certo è un posto duro; sul lavoro la competizione è furibonda, e la vita lavorativa segue la legge di Darwin: la sopravvivenza del più adatto. Però è l’unica città italiana dove un free-lance non si sente una specie di semi-occupato senza dignità, e dove cambiare lavoro non è un dramma ma spesso l’unico modo di progredire. Certo se non ti piace fare, qui rischi il suicidio; se poi apprezzi lo svago, il passeggio e la vita all’aria aperta, sei fottuto. Qui non esiste tempo libero: esistono pause dal lavoro, terrorizzanti, che vengono colmate con frenetiche attività di “svago” (palestra, lezioni serali, ecc) perché l’horror vacui è sempre dietro l’angolo. Non si va nemmeno in pensione; si preferisce rimanere al lavoro fino all’ultimo: meglio morire che avere un’ora vuota.

Questa folle frenesia però non va assolutamente attribuita ai lombardi. Milano infatti non è una città della Lombardia bensì uno stato della mente; è il luogo dove arriva chi s’è stufato di girarsi i pollici e lamentarsi delle scarse possibilità offerte dal suo luogo d’origine. Ci viene chi ha voglia di fare qualcosa, e lo viene a fare qui. Sbaglia chi pensa che queste persone (incluso il sottoscritto) siano emigrate per bisogno e rimpiangano per tutta la vita la terra natia. Macché; la maggior parte si è trasferita per sfinimento, e molti non amano tornare indietro, nemmeno per una vacanza: “Ritrovo gli amici uguali a come li avevo lasciati, sempre a lamentarsi, per poi chiedermi come si fa a vivere in un posto orribile come Milano.” Certo che esistono anche gli emigranti per bisogno, ma sono una minoranza e solitamente non resistono a lungo: se non la ami, Milano la detesti – e lei ti caccia via.

E’ l’unica città italiana dove si pratica la meritocrazia: se sei bravo lavori. Se invece ti imboschi e fai il minimo indispensabile vieni triturato (mentre a Roma – che conosco bene essendoci nato –  diventi oggetto di ammirazione in quanto Paraculo, massimo livello della piramide sociale locale); a Milano non prendiamo prigionieri. Le motivazioni filosofiche del fancazzismo, così affascinanti altrove, ci lasciano freddi e sospettosi, e la paraculaggine ci innervosisce. Un effetto collaterale di questa differenza è l’amore per alcune pratiche considerate da fessi altrove, come fare la fila ordinatamente. Insomma una città di stronzi.

Ma questa stronzaggine diffusa ha almeno un effetto positivo. Altrove esistono dei fattori sociali unificanti, considerati al di sopra delle opinioni. Gli esempi si sprecano: a Napoli dicono “Basta che ce sta ‘o sole”, a Roma “Ce piace de magnà e beve”. Così, mentre Rutelli e Storace sono accomunati dalla Pajata, tra me e Formigoni non c’è nulla: detesto senza remore lui e quello che rappresenta, e viceversa. Una volta stabilito che non c’è terreno comune, quando invece ci si incontra tra simili la festa è grande, e i rapporti intensi e calorosi. Il termine “noi” a Milano ha un significato più intenso di quello che ha, per esempio, a Napoli. E mentre lì potrebbe significare noi napoletani, noi campani, noi amanti dei Friarielli, qui identifica gruppi molto più definiti – e non comunicanti tra loro. Noi siamo noi, loro sono loro (ad esempio i mostri che s’incontrano nei bar durante la pausa pranzo, con cravattoni a bavaglino e scarpacce avana a punta quadra) e tra noi e loro non si comunica: non ci si chiede nemmeno l’ora per strada. Una forma di apartheid sociale forse estrema, ma a me profondamente gradita.

7 thoughts on “Milano

  1. una sola domanda (sul resto sono totalmente d’accordo): sicuro della meritocrazia milanese? ero convinto anche io, poi dopo aver visto reti di interscambio di conoscenze umane, il papi, la mami, eccetera, ho ridimensionato gli eventi, restando convinto che oltre all’ovvia vittoria del censo di appartenenza sul pezzo di carta, anche le cose fatte cozzano contro un muro di appartenenza.

    ma magari sbaglio io. che liberazione commentare, comunque.

    Dice SM: Beh, è vero di papi e mami (anzi, il papi e la mami), come ovunque. Però se funzioni a Milano hai molte più chances. Ci sono città dove si fa strada SOLO col papi.

  2. O coi papi… (minuscolo: da non confondersi con E. Papi). Ma di quello si parlera’ nel prossimo numero..

    Ma Mauoshi mica sara’ per caso il Mauoshi di GE che ci offri’ un delizioso cappuccino anni fa?..

  3. Da romano trasferitosi a Milano, posso dire:
    (1) che non ho mai lavorato così poco da quando sto a Milano. Per quello che vale la mia opinione, dal momento che ho esperienze lavorative precedenti solo a Roma e a Stoccolma, ritengo che a Milano si fatica – a parità di lavoro e comparativamente parlando – molto di meno.
    (2) che a fine giornata si avverte un senso di spossatezza, ma un senso di spossatezza derivante più che altro dal malsano e noioso ambiente di lavoro: i milanesi a 26 anni già parlano di famiglia, di aneliti di paternità/maternità, di mutui, etc. etc. Insomma, hanno già il physique du role dei ministeriali (piotta in testa compresa, il più delle volte).
    Ma sei sicuro che la competizione che c’è a Milano è competizione tra i più bravi?
    No, perché avrei certi aneddoti (anche “musicali”, visto che scrivi su Rumore) da raccontarti…
    Comunque l’equazione Rutelli sta a Storace come Tu stai a Formigoni, non ti rende giustizia.
    Ti leggo tutti i mesi e mi sembri confuso, ma non mi sembri così coglione.
    /Velzna

    Dice SM: Posso immaginare che esistano zone di basso rendimento a Milano, e che ci siano milioni di città più produttive: siamo sempre in Italia. Non solo, ma alcuni giovani milanesi sono esattamente come li descrivi tu. Solo che io posso evitarli, e di solito lo faccio. Comunque hai ragione, un po’ sono confuso, lo so. Altrimenti non scriverei così tanto, avrei già capito tutto. E invece… Grazie della distinzione da Rutelli. Semplicemente indicavo due estremi diversi, anche se forse pure lì…

  4. La descrizione mi è piaciuta molto… la trovo molto realistica e sintetizza tutti i principali motivi per cui il resto d’Italia odia i Milanesi! 🙂
    Un’altra cosa che mi ha colpito di Milano è l’idiozia dei pendolari: le poche volte che sono stato costretto ad entrare a Milano in macchina ho visto code che durano ORE. A Milano fanno tutto di fretta, e poi perdono ORE in tangenziale per andare a casa o al lavoro… è una cosa che oltrepassa la deficienza.
    Credo che non riuscirò mai a capire come fanno a vivere in quel modo… ma del resto, contenti loro, contenti tutti!

    Dice SM: Mi parli di un mondo esotico, la Tangenziale, di cui so pochissimo. Sono gli effetti dell’apartheid di cui parlo nell’articolo, più il mio proverbiale talpismo. Ma mi chiedo: c’è vita sulla Tangenziale? Di sicuro c’è all’ora di punta, e che vita.

  5. Ho lavorato a Milano, la peggiore città d’Europa. Il milanese poi è supponente, stronzo e razzista. Pensa che Dio ha creato Milano e Milano ha creato il mondo…beh. stacci pure a Milano, che di capitale morale non ha proprio nulla…Marco, Como (anzi, fieramente da Como).

    Dice SM: Ognuno è padrone della sua opinione, e i commenti sono qui apposta. Detto questo mi fa piacere che, malgrado le mille evidenze contrarie, ci sia ancora vita su Como.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *