Money? No problem

Nel numero scorso è uscita una mia intervista ai Subsonica. Alcuni dei commenti che ho ricevuto mi offrono lo spunto per parlare di una questione rilevante. Mi riferisco alla transazione economica legata al passaggio con la Emi, al fatto che se da un lato in giro si sentono cifre da Monòpoli (non solo irreali ma quasi leggendarie), dall’altro i diretti interessati non hanno risposto. Questa reazione ha ovviamente molto ringalluzzito l’ala mitica: “Ecco, hanno preso tanti di quei soldi che si vergognano a dirlo”. Siccome però la domanda l’ho fatta io, mi piacerebbe chiarirne il senso.

Mi pare che i Subsonica in questi anni abbiano fatto un ottimo lavoro. Partiti da un contesto socio-musicale ben preciso (questo qui di Rumore), provenienti da esperienze diverse ma tutte in qualche modo stimabili, hanno capitalizzato questo passato in maniera lieve e signorile, una cosa rara. Hanno saputo mantenere uno standard molto alto nei due settori nei quali producono, le registrazioni e i concerti, creando un suono e uno stile riconoscibile in ambedue. Hanno macinato chilometri e date, costruendo una notevole credibilità e portando un po’ dell’etica del loro passato, come il biglietto calmierato, anche in situazioni dov’era una novità: immagino che dopo Sanremo abbiano suonato in posti assai diversi. Hanno lavorato in un contesto indie facendo crescere la loro label fino a toccare, ma questa è solo la mia impressione, il tetto delle possibilità di un’indipendente italiana nel terzo millennio. Vorrei precisare a scanso di equivoci che non mi piace tutto dei Subsonica: ho trovato estenuante la loro strategia dei ritornelli, soprattutto nei live, e quell’aria un po’ Vogue Uomo che ha caratterizzato alcune sortite dei singoli m’ha fatto sorridere, ma solo perché penso che siano una band importante per la scena italiana: le cazzate di dj Francesco invece le ho dimenticate subito.

La mia domanda era priva di malizia e aveva un triplice scopo: fugare le voci incontrollate, capire la logica di questa transazione e cosa significasse per la band. Loro invece si sono chiusi a riccio, anche perché qualcuno li accusa di essersi arricchiti, di aver firmato per un mucchio di milioni. E se fosse? Ottimo, bravi. Questa idea che pezzente significhi integro m’ha proprio stufato. Hanno fatto i soldi? Se li meritano, hanno lavorato duro anche per questo e adesso incassano. Che c’è di strano? I Daft Punk non hanno fatto bingo? I Police erano miliardari a 25 anni, i Green Day a 23. Bennato ha la pensione assicurata, e pure Zucchero. Per quale ragione i Subsonica dovrebbero essere più poveri? Voglio farvi una confessione: m’è capitato di prendere tremila euro per una conferenza, o cinquemila per due giorni di lavoro. Personalmente ho due tariffe (a parità di impegno, o quasi): pochissimo o moltissimo, e quando scatta la seconda non ho remore di sorta. So di fornire un buon prodotto, perché dovrei chiedere poco? Ma la questione si fa davvero interessante quando ci si chiede come mai qualcuno si arrabbi se i Subsonica guadagnano molti soldi ma nessuno faccia caso a quanti ne fanno i Gorillaz. Il motivo è interessante: dai Subsonica ci si aspetta una sorta di integrità, di durezza/purezza di cui Trent Reznor può fare a meno, perché loro vengono da un certo percorso e che sono arrivati fino qui senza cesure, in maniera lineare. Ecco perché qualcuno si scandalizza: percepisce i Subsonica tra “i suoi” – e ha ragione.

In questo caso però sarebbe più saggio tenere il fiato sospeso e vedere che succede. Perché la sfida è doppia, e non semplice. Innanzitutto far diventare Casasonica (una label italiana finalmente benestante) una realtà visibile e sfaccettata, in grado di far crescere altri artisti (anche non Subsonici) e di arricchire la scena, riuscendo a mantenere uno stile giusto e sensato pur essendo nella stessa Major dei Blue. E poi conservare intatto un certo spirito estremo e radicale, utile a produrre certa musica, pur potendosi permettere la Jacuzzi XL e l’abbonamento al club del golf. Questa è la prova più difficile, e speriamo che se la cavino: l’alternativa sarebbe un po’ triste per tutti, mi pare.