La musica è in ribasso? A sentire le Major e i mass-media si direbbe di si. Ma a guardare bene si capisce che il problema riguarda l’industria. La musica invece non è mai stata meglio.
L’industria discografica da qualche anno lamenta una crisi di vendite, attribuita interamente al fenomeno dello scambio di musica in rete. Un’affermazione discutibile, tanto quanto la bizzarra reazione delle Major: l’invenzione del Best più un inedito, che mi pare un chiaro incitamento al downloading, specie da parte dei fan. Sfortunatamente però, anche per via della pigrizia dei media, questa affermazione rimane indiscussa: la crisi della musica è dovuta al Peer to peer. Viceversa basta cambiare prospettiva per vedere che l’impatto di internet sulla musica è assai diverso, e abbondantemente più positivo che negativo.
Il primo ragionamento è semplice ma inoppugnabile: se si trascura per un attimo il fattore economico, è lampante che mai, nella storia dell’umanità, si è avuto un così vasto accesso a immense librerie di musica; immense per vastità ma soprattutto per varietà. Quindi è evidente che il giovane scaricatore di musica, esauriti i generi occidentali contemporanei, rivolgerà la propria attenzione al passato e alle musiche minori, magari non anglo-americane. Ottimo, direi, considerato che nei negozi si fa fatica a trovare roba stampata due anni fa – salvo i Beatles, venduti a prezzo pieno come nel ’63. Inoltre va menzionato un fenomeno interessante e diffusissimo: se trovo musica che mi piace nella cartella condivisa di qualcuno, posso esplorarla (la funzione si chiama Browse Host) e scoprire artisti nuovi di generi simili. Bello, no? E infatti i vari shop legali di musica in rete si sono ispirati a Napster anche in questo: “Chi ha comperato questo file ha preso anche questi altri”. Quindi in rete non si condivide solo musica rubata, ma anche discografie possibili, percorsi culturali e sonori. Mica male per dei pirati.
Ma i benefici diventano ancora più lampanti se si considera il mutamento avvenuto per i gruppi esordienti. Una volta era impossibile uscire dal guscio senza investire molto denaro, e l’unico canale possibile per emergere era quello della discografia. Non vorrei riaprire la polemica sui discografici (che hanno già abbastanza problemi da soli), ma il fatto che siano stati per anni l’unico referente possibile ha certamente danneggiato la musica più di qualsiasi Internet. Oggi invece, salvo a essere Avril Lavigne, una band può fare molta più strada, e presentarsi più matura al primo appuntamento con un discografico. Il primo, e forse l’ultimo: quando la transizione alla vendita online sarà completata (purtroppo non domani, ne’ dopodomani), produttori e consumatori determineranno il mercato e nessuno, nemmeno Avril, avrà bisogno delle Major – salvo a desiderare un Best di Elvis con un inedito. Già oggi organizzare un tour usando la rete consente di proporsi a costo zero, e di raggiungere un pubblico molto più vasto rendendo disponibile la propria musica. Che non renderà soldi, ma questo è così da sempre: per molti artisti agli inizi, qualsiasi diffusione è meglio di niente, e la gratificazione di essere ascoltati da altri li ripaga cogli interessi. Ovviamente non mi aspetto che una Major capisca questo discorso: il suo mestiere è di vendere musica, mica di farne.
Altro immenso beneficio, a transizione avvenuta, sarà il ridimensionamento di enti come la Siae – che assomiglierà molto più a PayPal che a un ministero (l’organo della Siae, che arriva a tutti gli iscritti, si chiama Viva Verdi, tanto per chiarire subito le cose ai giovani). Già ora è possibile accedere a forme di pagamento alternative (come appunto PayPal), ma è chiaro che il diritto d’autore del terzo millennio sarà globale, equo, automatico e trasparente – tutto il contrario di oggi.
Infine una considerazione storica: il mercato della musica ha affrontato un’altra crisi dovuta all’arrivo di una nuova tecnologia, e ben più grave di quella odierna. Negli USA tra le due guerre, l’avvento della radio determinò il crollo di vendite dei dischi, e si dovranno aspettare gli anni ’50 per vedere una ripresa. Dovuta alla chiusura delle radio? All’introduzione di una tariffa d’ascolto? Macché: è stato il Rock’n’roll a far ripartire il mercato. E anche in questo caso, credo che sarà la musica a salvare la musica; ma non dal File Sharing, bensì dal mercato del pesce del Pop, venduto un tanto al chilo – più un inedito. (Si ringrazia Franco Fabbri)