Myspace di ‘sta cippa

All’inizio della rete, la più grande fonte di stupore era la grande quantità di informazioni disponibili: si trovava tutto, e quello che non c’era ancora ci sarebbe stato presto. L’intera offerta digitale si basava sull’idea che l’utente scaricasse e basta. Diversi fattori hanno contribuito a cambiare questa situazione. Innanzitutto gli strumenti di publishing sono diventati più semplici, le connessioni più certe e Internet è diventata onnipresente. Ma soprattutto si è capito che il cittadino digitale apprezza l’interattività e che quindi l’idea di una rete preconfezionata funziona meno dell’offerta di strumenti per interagire. Su questo concetto si basa l’idea di web 2.0: le piattaforme di blogging, Myspace o Facebook (e ovviamente Bit torrent e tutte le reti P2P) sarebbero dei gusci vuoti senza gli utenti. Che al geek piacesse smanettare è un fatto noto; la vera sorpresa è stata la digitalità diffusa, la sindrome della condivisione totale, che va dall’amorevole conversione del vinile d’annata fino al fotomontaggio (tecnicamente davvero ben fatto) di Britney che tromba con Rocco. Insomma: la rete è assai bella, ma se ce la facciamo da noi lo è ancor di più.

Questo discorso vale doppio quando si parla di porno in rete. All’inizio, prima della fotografia digitale (che si diffonde intorno al ’97/’98), l’unico porno su Internet erano scan di riviste. Grazie alle digicam, e al coraggio di chi le usa, oggi una percentuale assai rilevante del porno scambiato gratis in rete è realizzato dagli utenti. Un cambiamento fondamentale, che ha introdotto nuove forme (tra cui quella che io chiamo Realcore) e stravolto assai beneficamente i canoni di ciò che è bello da vedere. Così, a fianco dei nerboruti californiani, sono arrivati altri modelli di bellezza meno induriti, più abbordabili e rilassanti.

Ma lo scambio di foto è solo il primo gradino dell’interattività; i porno maker amatoriali del terzo millennio (che sono anche user) hanno esercitato moltissima creatività nell’inventarsi modalità di interazione e di smanettamento (gioco di parole voluto), alcuni davvero fantasiosi, come il Tributo. Il Tributo può essere di vari generi; il più semplice è raccogliere molte immagini di una stessa persona e poi creare un grazioso collage da pubblicare nello stesso posto (per esempio un gruppo di Yahoo). Una forma più ardita di Tributo consiste nello stampare l’immagine in questione e fotografarsi mentre si fa qualcosa con quell’immagine: baciarla (in certi casi leccarla), toccarla e a volte masturbarsi. L’immagine prodotta conterrà ovviamente quella originale in un vortice di foto, stampe, mobili, umori – e interattività. La persona oggetto di Tributo ovviamente ne sarà deliziata e questo la motiverà a pubblicare ancora. C’è un tizio che ha 3 siti dedicati al suo pene (che non mi pare ne’ immenso ne’ particolarmente perfetto): evidentemente qualcuno lo apprezza.

Comunque la si pensi sull’idea di pubblicare proprie immagini sessuali, è evidente che queste persone rappresentano una nuova frontiera, e non solo in termini sociologici. Sono i primi veri cittadini digitali, persone che usano le tecnologie per scopi completamente diversi da quelli che aveva in mente il progettista, e che hanno saputo sfruttarne le possibilità per soddisfare i loro desideri prescindendo completamente dall’interfaccia – con la stessa naturalezza con cui noi telefoniamo o guardiamo la Tv. Abbiamo sempre immaginato il cybersesso simile a Bladerunner: pare invece che somigli di più a un impiegato/a di mezz’età.

Immagine tratta dal sito Slave-Marion.com.

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