Dopo l’uscita infelice, improvvida e inesatta di Beppe Grillo sull’Autismo, e in particolare sulla Sindrome di Asperger, mi pare utile dire due o tre cose informate su questo argomento complesso e singolare, difficilmente riducibile in un breve articolo – figurarsi in due battute sceme.
L’Autismo è una condizione neurobiologica (non una malattia, non un disagio mentale o psicologico) identificata da un secolo ma ancora oggi non chiara. Non se ne conoscono le cause, non c’è una cura, forse in certi casi non è nemmeno da considerarsi una condizione. La psichiatria lo chiama “disturbo”, o anche Sindrome Comportamentale: “Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri, agli interessi stereotipati, rigidi e ripetitivi.” Mentre fino a pochi anni fa si distinguevano diversi tipi di Autismo, tra cui la Sindrome di Asperger, oggi si parla di Disturbo dello Spettro Autistico, che può essere lieve (appunto l’Asperger) o molto grave, come nel caso di persone che non parlano, non comunicano, chiusi dentro se stessi – come suggerisce il termine Autismo.
Quindi da un lato dello spettro ci sono quelli severamente autistici, che non hanno alcuna interazione con gli altri, hanno comportamenti ristretti e ripetitivi, e reagiscono con violenza a qualsiasi cambiamento. E dall’altro c’è chi ha il Lieve Disturbo dello Spettro Autistico: individui ben funzionanti (per esempio sotto il profilo professionale), spesso non diagnosticati, sostanzialmente integrati nella società ma considerati stravaganti, bizzarri: talvolta monomaniaci, spesso ripetitivi (per esempio nel cibo), insofferenti ai cambiamenti, scarsamente sociali, emotivamente distanti, ostinatamente razionali. Questa condizione però ha un aspetto assolutamente unico. Infatti la lista delle caratteristiche continua in modo inaspettato: sensibilità visuale o uditiva fuori dalla norma, capacità di concentrazione superiore, grande creatività nel combinare elementi distanti per produrre cose nuove (idee, ma anche invenzioni e tecnologie). Gli “Asperger” (o Aspie, come si definiscono) sono profondamente onesti, leali e affidabili. Quindi è un “disturbo” che ha anche effetti positivi – che io sappia, l’unico.
Infatti non solo esiste l’Asperger Pride, che ne rivendica l’orgoglio, ma anche movimenti locali per i diritti degli Asperger (che continuano a usare questo termine). In inglese si chiama Self Advocacy, e se cercate su Google trovate decine di milioni di link: essendo remoto e asincrono, Internet è un mezzo di comunicazione perfetto per gli Aspie. Naturalmente non gli sfuggono gli aspetti negativi della loro Sindrome, ma – a quanto ho letto – nessuno vorrebbe farsi curare, e molti affermano che quelle caratteristiche, anche negative, li hanno resi quello che sono. Di più: negli ultimi anni nasce la teoria della Neurodiversità. L’Autismo sarebbe una variante genetica positiva, in una piccola percentuale della popolazione; e le persone lievemente autistiche sarebbero utili all’umanità. Molti dei grandi inventori del passato forse erano autistici. Sicuramente dei pezzi di Internet sono stati pensati da autistici: la sindrome è diffusissima tra i supergeek. Il libro Neurotribes: The Legacy of Autism and the Future of Neurodiversity di Steve Silberman racconta bene questo aspetto della questione (ma forse in italiano non c’è).
Naturalmente la società ha innanzitutto il dovere di occuparsi degli autistici gravi – e delle loro famiglie. Nel 2018 però è bene che la società sappia anche che esiste questa condizione, così diversa dalla nostra idea di “disagio”. Che l’autismo lieve, inserito nella diagnostica solo nel ’94, riguarda una certa percentuale della popolazione; e che questa non è necessariamente una cattiva notizia. Magari ce ne fossero di Aspie in televisione: farebbero una figura infinitamente migliore di quelle giacche vuote che popolano la mia.