No, il futuro no

Una delle particolarità della rivoluzione tecnologica in atto (ormai da oltre vent’anni) è che le cose cambiano così velocemente che quello che si dice oggi, già domani può suonare antichissimo. Il mondo della musica offre molti esempi di affermazioni poi smentite e tutte, duole dirlo, hanno visto i musicisti perlopiù arroccati su posizioni protezionistiche e conservatrici. Fin dall’inizio: quando fu inventato il grammofono, la grande maggioranza dei musicisti si ribellarono, da un lato temendo di perdere il lavoro, e dall’altro sostenendo che quella tecnologia avrebbe svilito la musica. Musicisti di cui abbiamo dimenticato i nomi, mentre ci ricordiamo di Enrico Caruso, la prima star dell’era del Disco. Pure l’uso dell’amplificazione da sala fu accolta da un grido di dolore: “E’ la morte della dinamica, dell’esecuzione raffinata. Da oggi in poi tutta la musica sarà uguale.” La storia del Rock ha poi dimostrato l’assurdità di quest’idea. Quando fu introdotta la distorsione nella chitarra elettrica, in molti hanno detto che da quel momento i chitarristi avrebbero avuto tutti lo stesso suono. Poi è arrivato Jimi Hendrix e s’è capito che sbagliavano.

Tra le polemiche musicali più roventi della storia recente c’è quella riguardante gli strumenti elettronici, e in particolare la batteria programmabile. Inventata negli anni ’60, inizia a diffondersi massicciamente negli anni ’80 con l’avvento del Synth Pop. Benché le batterie elettroniche dell’epoca avessero ancora dei suoni molto distanti da quello della batteria acustica (e oggi siano molto ricercate proprio per questo), i musicisti si ribellarono immediatamente, sempre per le stesse ragioni: sicuramente ci toglierà del lavoro, e da oggi tutte le batterie saranno uguali. Qui, oltre al protezionismo corporativo, si aggiunge un elemento curioso: la mancanza di autostima da parte di questi musicisti. Era infatti ovvio fin da allora che un batterista potesse fare cose completamente diverse da una batteria elettronica, uno strumento che non avrebbe mai potuto sostituirlo. E infatti puntualmente, dopo qualche anno di eccessi, la situazione si è normalizzata: la batteria elettronica serve a fare certi stili di musica (come la Trance, dove un batterista sarebbe fuori luogo), mentre altri come il Jazz o il Rock vanno suonati da percussori umani. Un altra categoria molto attiva nella lotta alle tecnologie è stata quella dei violinisti; questo però si può capire meglio: certamente se hai bisogno di quattro note lunghe sullo sfondo non chiami un quartetto d’archi, quindi qualcosa ci hanno certamente rimesso. Da qui però a annunciare la disoccupazione per centinaia di strumentisti un po’ ce ne corre. Oggi infatti qualsiasi produzione musicale minimamente seria, che abbia bisogno di violini, sa benissimo che entro certi limiti il digitale supplisce, ma che niente può sostituire il suono di uno strumento di legno, ben suonato, ben registrato e mixato.

Insomma, è successo quello che in fondo era prevedibile che succedesse: sono nati nuovi stili musicali basati su queste tecnologie. Nuovi stili che si affiancano ai precedenti, non sostituendoli. Il Jazz esiste ancora e così la Polka (che qualcuno suona coi tastieroni MIDI, ma che col clarinetto resta imbattibile), insieme all’Hip hop e alla House. Generi diversi che richiedono abilità diverse e producono risultati (e effetti sul pubblico) diversi. Salvo a voler sostenere che ci sono dei generi migliori di altri in assoluto: un’idea talmente sbagliata che non vorrei proprio attribuire a nessuno.

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