Una delle ragioni per cui mi piace scrivere su Rumore è che qui si parla di musica vera, di artisti effettivamente esistenti nel mondo reale, con cui si confrontano e nel quale compiono il loro percorso umano, artistico e professionale. Dice: “Ma non è sempre così? Che esistono degli artisti che vivono in un mondo irreale?” Esistono eccome. Anzi, c’è una scuola di pensiero che sostiene che il futuro dello show business sia esattamente questo: artisti remoti in un mondo sottovuoto, fruibili come “esperienza” anche magari complessa e articolata, ma inesistenti nel mondo fisico. Questa strategia, che mi sembra pessima ma è molto in voga, nasce proprio nel campo della musica. Succede da anni, basta guardare Sanremo: ci sono cantanti che compaiono soltanto lì, che pare che li surgelino subito dopo. Artisti (insomma) che pensano (a volte malconsigliati, altre volte autonomamente) di “raggiungere un grande pubblico con un singolo passaggio”. Questo è certamente vero se sei già Mino Reitano e il tuo problema è solo quello di far conoscere il tuo nuovo singolo (che di nuovo avrà soltanto la tonalità mogano dei capelli di Mino in copertina); lo è assai meno se invece sei Valentina Giovagnini (seconda tra i giovani nel 2002) e in quei tre minuti devi iniziare da zero. Statistiche alla mano è assai difficile che funzioni, eppure la discografia italiana continua a fornire carne da cannone a questa mattanza (con rare eccezioni, come Subsonica e Tiromancino).
Questo discorso ovviamente si amplifica esponenzialmente nel meraviglioso mondo dei reality show. Per esempio: qual’è la differenza tra Piero Pelù e Dolcenera (a parte le basette)? Che il primo si è effettivamente visto circolare nel mondo, ha fatto un sacco di strada (anche proprio nel senso di attraversare caselli autostradali) prima di diventare famoso, mentre Dolcenera nasce in un vacuum, la Tv, e pensa (lei o chi pensa per lei) di poter saltare a piè pari la fase Autogrill, sound check, ecc. semplicemente mostrando le poccette, e un qualche potenziale ma incoltivato talento, a Music Farm. Se poi si esce dall’ambito musicale quasi tutto lo show business del terzo millennio funziona così. Avevo appena finito di chiedermi chi cazzo fosse Katia Noventa (che non riconosco per via dei continui ritocchi chirurgici che ne rendono instabile la fisionomia) quando ho dovuto farmi la stessa domanda su Ascanio Pacelli, trovando però immediatamente la risposta: nessuno. Ascanio però è circondato da persone che non sono niente altro che famose, come appunto la Noventa o Daniele Interrante; e lui giustamente si chiede: “Perché loro sì e io no?” E su questo permettetemi una digressione. Avete presente l’Isola dei famosi? Che ogni anno ci chiediamo “ma chi cazzo è questo? Ma che è famoso?” E’ un ulteriore intorcinamento dello stesso concetto: hai vinto Miss Italia, prototipo delle manifestazioni che incoronano gente che non sa fare una mazza (infatti è un concorso di bellezza), e dopo aver scoperto che quella fama gonfiabile dura poco, cerchi di appiccicarcene dell’altra, sempre falsa e parruccata come quella dei reality. E d’altronde non mi aspetto certamente che Arianna David parta in tournée con dei monologhi di Beckett: lei non sa fare niente, una qualifica perfetta per un posto in Tv. Perché mai dovrebbe cercare altrove?
Quindi in fondo esistono due tipi di famosi: quelli che lo sono, e poi ogni tanto vanno in Tv, e quelli che lo sono perché sono lì. E’ brutto che ci vada di mezzo la musica, che qualsiasi bonazza si senta autorizzata a straziare un microfono, e che tanto basta sculettare un po’ per catturare l’attenzione. E’ brutto ma lo fanno tutti, inclusi i famosi più consolidati. E se Simona Ventura o Alba Parietti possono permettersi di infangare (forse irrimediabilmente) i concetti stessi di canto e ballo, perché prendersela con Zequila (sfottuto in questi giorni dai programmi pulp con l’accusa di essere gay, una cosa indegna a vedersi) se, a parità di talento, chiede la sua parte?