Quando si stava peggio

In Italia ultimamente si parla molto di libertà di stampa; un temone, fondamentale per valutare lo stato di salute di una democrazia. Si dice che Berlusconi sia contro questa libertà, e mi pare certamente innegabile: l’Italia non è un paese libero, in molti sensi. Mentre scrivo, il quotidiano la Repubblica organizza addirittura una manifestazione per la libertà di stampa, e contro l’informazione di regime, lamentando l’occupazione dei media pubblici e privati da parte delle truppe Berluscoidi. Trovo tutta questa situazione comica, fastidiosa e ridicola, non parteciperò alla manifestazione di Repubblica e quando vedo Franceschini lamentarsi in Tv m’incazzo.

Ho 50 anni, e da quando mi ricordo, in Italia la libertà di stampa non c’è stata proprio mai mai. Durante la mia adolescenza, negli anni ’70, la stampa era tutta di regime, tranne i giornali di sinistra che però erano letti da persone già convinte (esattamente come succede oggi col Manifesto). La RAI era ricolma di una accozzaglia di raccomandati, attentissimi a non disturbare il potere col loro lavoro; i giornalisti leggevano le veline di stato, omettevano notizie importantissime e utilizzavano un linguaggio da regime, proprio come oggi. Ho sentito con queste orecchie (e ho la registrazione) un giovane Bruno Vespa annunciare: “L’anarchico Pietro Valpreda è uno dei responsabili della strage di Piazza Fontana”. Non solo Valpreda fu assolto (dopo anni di carcere e un linciaggio mediatico al quale contribuì anche Vespa), ma all’epoca non gli fu concesso neppure il minimo del bon ton giornalistico: che ne so, un condizionale, un “presunto”. Niente: anarchico, quindi colpevole.

Alla base di questa scarsa libertà c’erano due centri di potere importantissimi nell’Italia di allora: la DC e la Chiesa Cattolica. Due poteri con obiettivi comuni e dichiarati: mantenere il paese in uno stato di asservimento culturale, utilizzando gli spauracchi del comunismo (la DC) e del demonio (la Chiesa). Se non mi credete andate a leggervi la storia dell’Italia del dopoguerra: ci troverete ignominie spettacolari, e non così dissimili dalle farneticazioni Berlusconiane sul comunismo. In quegli anni la Democrazia Cristiana utilizzava qualsiasi mezzo, lecito e illecito, signorile o vigliacco, pur di mantenere il potere, di gestire le sue clientele e di prosperare: lo stato miserabile del nostro paese, dagli ecomostri all’economia, è da attribuirsi principalmente alla DC e ai partiti che insieme a lei hanno governato per cinquant’anni. L’unica differenza coi politici odierni era lo stile: loro erano dei signori manigoldi, e non dei farabutti da quattro soldi come questi qua.

Poi è arrivata Tangentopoli, e si è finto di cambiare qualcosa – per non cambiare proprio nulla: non solo i politici sono sempre gli stessi, a cominciare da Franceschini, ma i metodi sono uguali. E non mi riferisco alle tangenti, ma a un modo di gestire il potere, e di interpretare la libertà, anche quella di stampa. Oggi il PD si lamenta di avere pochi spazi nei media pubblici, e ha ragione: tutti quelli che aveva occupato negli anni se li sono presi gli altri; giustamente, se l’idea non è quella di avere una stampa indipendente, ma “oggi a me e domani a te”. Che un ex democristiano si lamenti della poca libertà di stampa in Italia non è solo straordinariamente ridicolo, ma patetico.

E mi conferma un’idea che ho da molto: Berlusconi non è la causa del problema Italia, ma l’effetto. Gli italiani se lo meritano, esattamente come si meritavano Andreotti, i TG di stato dal dopoguerra a oggi e il deficit pubblico. A noi la libertà di stampa non ci piace, altrimenti avremmo saputo dotarci di una classe politica in grado di garantircela. A noi piacciono i potenti senza vergogna, impuniti e puttanieri; se qualcuno ci promette meno tasse (e quindi meno servizi) siamo prontissimi a eleggerlo. E, da quando mi ricordo, della libertà di stampa non glie n’è mai fregato una mazza quasi a nessuno.

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