Sapersi giova

Una delle grandi piaghe che affliggono l’uomo moderno è certamente l’eterosessualità – nel linguaggio comune la “normalità”. Innanzitutto il maschio straight è in una posizione socio-economica davvero difficile, bombardato dai media, targettizzato dalle riviste e bersaglio primario di molta della pubblicità. Ma soprattutto vive una condizione che, nel 2007, di può certamente definire terribile: la scarsa coscienza di sé, la poca, spesso nulla, consapevolezza della propria natura, la beata ignoranza di chi è “normale” e non ha niente di cui preoccuparsi. Per “maschio straight” intendo un individuo eterosessuale maschio, che scopa nella posizione del missionario a luci spente, che ha una fidanzata ma magari la tradisce anche se capita, che trova il sesso anale eccitante ma un po’ forte da chiedere alla propria partner fissa, ma non alla occasionale scappatella. Insomma molti di noi, magari non proprio tutti noi ma – diciamocelo – la maggioranza sì. Ovviamente questa figura di maschio ha un suo corrispettivo femminile, ma già il fatto di essere delle donne in questo mondo le costringe ad arrovellarsi in qualche modo. Gli uomini no, vivono di certezze, sono “normali” e quindi non hanno mai dovuto chiedersi, come per esempio spesso accade agli omosessuali, donne e uomini, (ma non solo a loro, per fortuna): “Ma io, che cosa sono?”

Questa semplicissima domanda può avere degli affetti davvero stupefacenti, se uno se la pone con onestà. Penso per esempio alle persone omosessuali nate in contesti dove questo modo di essere è socialmente sancito, che hanno dovuto fare un percorso di accettazione innanzitutto a partire da se stessi. Una via a volte complessa e tortuosa, e solo il primo passo: poi vengono la famiglia, gli amici, la società. Questo percorso di ristabilimento della propria identità sessuale ha un effetto importante innanzitutto sulla persona medesima che, a differenza di quelli che si pensano normali, si è posta tutta una serie di domande su se stessa, sui suoi meccanismi sessuali, affettivi, ecc. Dandosi delle risposte; un’analisi che pochissime persone “normali” possono dire di aver fatto. Col risultato che, sul piano della consapevolezza, è facile che un maschio eterosessuale sia molto più indietro di un suo coetaneo etero.

La questione si complica, in modo interessante, se si allarga il ragionamento a certe pratiche sessuali che si pongono in contrapposizione al “sesso normale”. Per esempio quelli che praticano il BDSM (Bondage, Dominazione, Sadomasochismo), o certi feticismi particolarmente intensi. Anche queste persone a un certo punto della vita hanno capito di avere qualcosa di particolare, una inclinazione magari non rara (come la popolarissima passione per i piedi femminili) ma che appartiene a una minoranza e – nel BDSM questo è molto comune – a un certo punto prendono coscienza di quello che desiderano, in qualche modo saltando il fosso. Naturalmente si può praticare il BDSM (o il feticismo dei piedi – ma sono solo due esempi) rimanendo rigorosamente eterosessuali. Ma innanzitutto ci si tende a porre un mucchio di domande sulla propria natura (poche pratiche sessuali sono verbose come il BDSM). Ma soprattutto da un punto di vista sociale è un fatto dirompente: dire in famiglia di essere gay o di preferire il blade play mi sembra tutto sommato abbastanza simile. E il discorso si può estendere ancora, a tutti quelli che a un certo punto hanno acceso la luce, aperto gli occhi e sperimentato qualcosa di nuovo. Che si sono chiesti: “Ma io, che voglio davvero?” e se lo sono andati a cercare.

La sessualità è la politica del terzo millennio – è bene saperlo da adesso, e stare pronti.

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