Nel raccontare una storia, gli ingredienti essenziali sono sostanzialmente due: che tipo di storia vogliamo narrare, e come vogliamo farlo. Sul fronte del come, negli ultimi 100 anni ci sono stati enormi cambiamenti, e a fianco dei generi tradizionali come la poesia o il teatro, ne sono nati di nuovi e potentissimi, come il cinema e il fumetto. Dal punto di vista del tipo di storia però, siamo sostanzialmente ancora nel passato, e gli ingredienti essenziali di un buon racconto sembrerebbero essere sempre gli stessi: amore, morte, tradimento, onore, coraggio… Insomma, tra Omero e Sorrentino la differenza, sotto questo aspetto, sembrerebbe proprio poca. C’è però una grande eccezione a questa regola, una narrativa che nel ‘900 ha avuto un’esplosione enorme, dalle conseguenze davvero profonde: la Fantascienza.
Questo genere (letterario, ma anche cinematografico, televisivo, poetico e forse perfino musicale) nasce in un momento molto speciale della storia dell’umanità: l’età vittoriana (secondo ‘800), una fase di forte innovazione tecnologica che ha portato profondi cambiamenti nella vita delle persone, dall’elettricità alla registrazione della musica. Ci sono molti esempi precedenti, come Frankenstein di Mary Shelley o i romanzi di Verne e di Poe, ma è La macchina del tempo di H. G. Wells (1895) il primo a contenere tutti gli elementi tipici della Fantascienza moderna: la tecnologia, il paradosso spazio-temporale, la visione del presente attraverso la lente del futuro immaginato, e la proiezione di sogni e speranze di oggi sul domani.
Nel corso del ‘900 il genere ha conosciuto una fortuna immensa, diventando – insieme ad altri – l’essenza stessa del “romanzo popolare”. In Italia la serie Urania (nata nel ’52 e tuttora attiva) ha proposto, a prezzi popolari e in edicola, quasi tutti i grandi autori del genere. E’ infatti proprio negli anni ’50 che esplode la Fantascienza. All’epoca perlopiù dominata da un tema assai ricorrente: alieni cattivi che invadono la terra. Questo non è casuale: la guerra fredda, e la probabilità di quella nucleare definitiva, ha tinto di cupezza quel periodo. Nei ’60 invece si cambia registro, e la speranza in un mondo migliore viene espressa perfettamente nella Fantascienza. La serie tv Star Trek (’65/’69) immagina come vinte molte delle battaglie proprie di quegli anni, dalla parità sessuale a quella tra razze. Gli alieni non sono più nemici da distruggere, bensì vicini diversi da rispettare. L’astronave di 2001 odissea nello spazio (’68) somiglia a certa architettura assai sixties, mentre quella dei vari Alien è certamente figlia dell’estetica anni ’80. In Bladerunner (’82) piove sempre, segno dell’effetto del global warming, mentre in District 9 (’09) gli alieni vengono chiusi nei ghetti: insomma grazie alla Fantascienza, ogni epoca ha il futuro che si merita.
Alcuni autori di questo genere sono autentici fuoriclasse. Philip Dick, Ray Bradbury, Arthur Clarke nel passato, o più di recente William Gibson, Neal Stephenson e Bruce Sterling hanno prodotto molto di più di semplice Fantascienza: hanno saputo immaginare in anticipo oggetti, tendenze e tensioni culturali. Il termine Cyberspazio l’ha inventato Gibson (nell’82), e nel ’53, in Fahrenheit 451, Bradbury aveva già previsto quasi tutto.
Oggi la Fantascienza è un genere narrativo a pieno titolo, capace di esistere con altrettanta efficacia in media diversi, dall’anime alla tv, passando per cinema, letteratura e videogiochi. Non solo: se è vero che noi ricordiamo il passato e immaginiamo il futuro, la Fantascienza è certamente uno dei luoghi più fecondi dell’ l’immaginazione contemporanea. E se c’è un’arte che può aiutare l’umanità a migliorarsi, questa è certamente quella di immaginare: futuri, ma anche soluzioni, strategie e idee per un mondo in evoluzione rapida, dove il domani sembra realizzarsi ogni giorno, ma dove i problemi purtroppo restano sempre gli stessi.
(Immagine: Vulcan’s Hammer, Philip K. Dick, Ace books 1960)