Circa 10 anni fa, in questa pagina, ho scritto un pezzo intitolato Tatuaggi nel quale parlavo dell’abitudine di farsi disegnare permanentemente addosso – che in quel momento stava diventando una moda. Scrivevo della bellezza di farlo, e di farselo fare da una persona competente e attenta in un contesto tranquillo e pulito. Di come fosse assurdo farsi sfregiare a vita, magari sulla spiaggia o in una discoteca, e di quanto invece avesse senso magari spendere un po’ di più per avere qualcosa di bello e duraturo. Perché un diamante puoi rivenderlo, perderlo a carte o fartelo rubare. Mentre un tatuaggio è davvero per sempre.
Arriva l’estate 2006 e chiunque frequenti le spiagge conosce il problema dei tatuaggi sbagliati: schienone immense e palestrate con un piccolo unicorno su un lato (che a furia di fare pesi, e per via della cattiva fattura, s’è sfranto fino a sembrare un bassotto superdotato); teorie di ghirigori “tribali” (solo di nome, per fortuna: una tribù con quelle porcherie addosso si sarebbe velocemente estinta) tutti sbagliati, in disarmonia col corpo che li ospita, mal pensati e realizzati peggio (che tanto sono tribali, e quindi vale tutto). E poi gli onnipresenti, come lo svolazzo che una ragazza su tre esibisce alla base della schiena; apparentemente sempre identico, insignificante, e in certi casi quasi derisorio: se hai un po’ di sederotto (cosa accettabile e in certi casi anche apprezzata), è ovvio che risalta maggiormente se uno sopra ci appone un fregio malfatto, piazzato strategicamente tra l’ultimo rotolo di panza e il culone. O il bracciale tribale: capisco che nell’88 sembrasse una novità, e in certi casi magari lo era anche, ma nel 2006 farsi fare il braccialotto corno-fregiato mi pare davvero folle. Ma come: perfino nella scelta del colore di un’auto si cerca l’originalità, e poi ci tatuiamo in serie?
Una delle ragioni della serializzazione dei tatuaggi è la diffusione di questa pratica tra i VIP, specie quelli italiani. Eros si fa lo scrittone gotico sull’avambraccio; il tamarrone fan potrebbe essere da meno? Totti c’ha il gladiatore e il Colosseo, due disegni che ormai sono entrati nel repertorio di molti tatuatori romani: fàmose er tatuaggio de Totti. Quindi uno vede il VIP tatuato e pensa: “Anch’io”. Però non è che pure lui, o lei, vuole un proprio disegno; macché, vuole proprio quello. Che non rappresenta la sua individualità, bensì quella di un altro (o quella del tatuatore, o magari di nessuno). Tanto più che non è detto che i VIP azzecchino i tatuaggi giusti: Materazzi, forse il tatuato più famoso d’Italia, ha una grossa scritta sul braccio, illegibile dalla TV se non per la scritta LION. Pensavo fosse un appellativo, un club di tifosi, un soprannome. Invece ho scoperto che la scritta è la sua data di nascita, e che LION sarebbe il suo segno zodiacale. Peccato che il segno del Leone in inglese non si dica Lion, bensì Leo, in latino. Ma magari Materazzi ha pensato che se si scriveva Leo qualcuno poi avrebbe potuto credere che si trattasse del suo fidanzato…
E pensare che invece tatuarsi è una cosa meravigliosa; significa portare addosso per sempre qualcosa di significativo, magari bello e che ci rappresenta. E’ un’esperienza unica nel nostro mondo: infatti anche dal dentista devi stare fermo e qualcuno ti fa del male, ma poi non esci con qualcosa addosso, qualcosa che ti resta, invecchia e diventa parte di te. Tatuarsi poi è un modo per entrarci in relazione col proprio corpo, specie per chi non ha un rapporto disinvolto e risolto con la sua fisicità. Tra le mille ragioni per tatuarsi, le più valide riguardano proprio se stessi. Siamo noi che ci conviviamo tutti i giorni, che siamo i principali spettatori del lavoro del tatuatore: che, se bravo, è anche psicologo, sciamano e consigliere. Ci mette cura e dedizione, e non ti vede come un quarto di bue da marchiare ma come una tela permanente e viva da decorare con attenzione, cura e mutua soddisfazione. Quindi occhio a chi vi scrive addosso, anche se è il tatuatore delle dive: magari vi vuole male, o quel giorno ha fretta, e vi scrive sbagliati – a vita.