Sognando Internet

Quando a metà degli anni ’90 la rete Internet inizia a diffondersi tra i comuni mortali, era sostanzialmente basata su un’utopia: una sorta di allucinazione collettiva della quale bisognava esplorare tutte le opzioni possibili o potenziali. All’inizio non c’era niente o quasi: non le aziende, che non ne vedevano l’utilità, non i social, non la stampa (che ancora oggi non ci ha fatto pace, vedi la recente cookie policy dei giornali italiani, probabilmente illecita), niente YouTube, Google o Wikipedia. Nemmeno i produttori di software avevano siti sensati e per la distribuzione si affidavano ancora a CD rom, floppy disc e negozi fisici. Ma quindi che c’era?

C’era un sacco di gente, molti nerd ma anche no, che alimentava questa allucinazione, e sfidando la lentezza micidiale delle connessioni produceva contenuti e contenitori visionari e futuristici. La connessione tra le reti digitali e la fantascienza all’epoca era potentissima, e ancora oggi ben visibile: il termine Metaverso per dire è stato inventato da Neal Stephenson nel suo profetico romanzo Snow Crash del 1992. Questa connessione letteraria si rifletteva in molti dei comportamenti e tecnologie che questi utenti/agenti hanno iniziato a sviluppare e utilizzare in quegli anni. Tutte cose che esistono ancora ma con modalità (e mentalità) completamente diverse.

Oggi le chat hanno molte forme, e dai Social media alla frustrante assistenza robotizzata sono diventate un metodo abituale di comunicazione. La nonna delle chat, IRC (dove nascono molti degli acronimi come LOL e IMHO), esiste dal 1988, ben prima della diffusione di massa della rete, e anticipa di un oltre un ventennio l’arrivo di WhatsApp. Tra i primi contenuti disponibili in rete c’erano i libri, perlopiù vecchi titoli di pubblico dominio ma anche testi originali, le cui modalità di distribuzione e di lettura non erano tanto diverse da quelle odierne. Certo, oggi abbiamo Netflix, ma Real Audio streaming debutta nel 1995 e Real Video due anni dopo. I primissimi esempi di uso sistematico di streaming video li troviamo alla fine dei ’90 sui siti porno, che in molti casi (essendo i primi a pagamento) si sono trovati a sperimentare nuove soluzioni. Il tutto ovviamente superando enormi difficoltà tecniche che restringevano la platea agli utenti più esperti e ostinati: leggere un libro su uno schermo a tubo catodico, come erano i monitor dell’epoca, era un’impresa assai ardua. Per non dire dei porno, un’esperienza scoraggiante: video sgranati, tempi di buffer infiniti, rotelle della morte, connessioni a carbonella. Quando nel 2000 arriva Napster (che consentiva di scaricare illegalmente musica da altri utenti) non solo manda in crisi l’industria discografica ma costituisce un modello per tutti i music store legali futuri, creati proprio per combattere la pirateria mantenendo però inalterata l’esperienza dell’utente. L’industria impiegò ben sette anni per trovare un’alternativa legale, l’iTunes Music Store. YouTube, che nasce con lo slogan Broadcast Yourself, è rapidamente diventato un immenso deposito di contenuti allora illegali (come quelli televisivi e musicali) ma oggi legalizzati dalla pubblicità (e da Shazam che trova e fa incassare).

Questa allucinazione collettiva iniziale si basava su un’idea profondamente utopistica. Molte delle tecnologie e programmi per fare e fruire internet, dal browser al codice HTML (il linguaggio con cui si fanno i siti), erano gratuiti come tutti i contenuti della rete (salvo in rarissimi casi). Quindi quella che poi si è chiamata “Gift Economy” era la regola: nessuno era pagato per fare un sito o un blog, per condividere la sua cartella musicale su Napster o caricare su YouTube una rara intervista a Lou Reed registrata dalla televisione, digitalizzata (con tempi biblici), editata e caricata online (lentamente, con una connessione che ancora si pagava a tempo). Il giocattolo inizia a incrinarsi quando si comincia a capire che questo modello da solo non stava in piedi e che una Internet “di pari” non era sostenibile. Quindi il numero di visitatori, che fino a quel momento serviva solo per vantarsi, diventa il principale parametro di valutazione dei “contenuti” (cioè tutto, senza distinzioni): più visitatori uguale più buono. E le grandi aziende digitali iniziano a investire su contenitori che attirano persone come i Social media, o fanno come Google che nel 2006 si compra YouTube dopo neanche due anni dalla nascita e sviluppa un modello economico che retribuisce gli utenti (in una percentuale minuscola).

Quindi l’internet delle origini già esplora quasi tutte le possibilità disponibili nel 202X, sperimentando modalità che oggi sono la norma e costruendo un immaginario dapprima soltanto potenziale ma che oggi è sempre più reale e diffuso. Con un curioso e bellissimo corto circuito: la Fantascienza immagina il futuro e il pubblico, i lettori, grazie alla rete lo rendono reale dando un valore quasi profetico a quei libri – ma anche forse viceversa.

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