“Nella tecnologia digitale, le innovazioni vengono innanzitutto immaginate, sognate dagli utenti; solo dopo l’industria le realizza.” Ecco un’affermazione che mi capita assai spesso di fare, e sovente si dipinge sulla faccia dei miei interlocutori un bel punto di domanda: “In che senso la sogniamo?”
Ho iniziato a fare musica coi computer nella seconda metà degli anni ’80 – circa 1987. A quell’epoca esisteva un solo software musicale, disponibile per Commodore 64 e per Atari; si chiamava Pro 24 (Pro 16 nella versione Commodore) perché aveva un massimo di 24 tracce Midi; la sua interfaccia non aveva niente di grafico, se si fa eccezione per i numeri della misura, quarto e sedicesimo che scorrevano mentre il brano andava. Pro 24 era già un enorme passo avanti rispetto ai sequencer dedicati esistenti all’epoca, molti dei quali a 8 tracce e non programmabili in tempo reale. Ciononostante dopo qualche mese di impazzimento dietro ai numerini ci si ritrovava a pensare: “Cribbio, ma non sarebbe bellissimo poter vedere gli eventi Midi, e magari spostarli a mano? E perché solo 24 tracce? non sarebbero meglio 48?” E infatti, nell’89, la Steinberg pubblicò Cubase, un sogno diventato realtà: 48 tracce Midi e, innovazione geniale, una finestra di arrange perfetta e semplicissima: gli strumenti in verticale e il tempo in orizzontale; un cursore in movimento (rigorosamente a scatti di un quarto di nota) indicava la posizione. Progettare quella finestra era talmente inevitabile che è rimasta sostanzialmente invariata fino a oggi, non solo su Cubase ma nella quasi totalità dei software musicali.
Ma l’utente, si sa, è irrequieto, e solo dopo qualche anno (e migliaia di dischi meravigliosi prodotti con i sequencer Midi) si è ritrovato a sognare di nuovo: “Ma non sarebbe stupendo se, insieme al Midi, si potessero avere anche delle tracce audio?” E’ il 1996 quando Steinberg introduce il primo sistema integrato di registrazione e editing audio e Midi a un prezzo umano (ProTools, introdotto nel 1989, si è sempre appoggiato a hardware proprietario costoso e poco flessibile – una politica che continua ancora oggi). Il successo è istantaneo e enorme, e l’hard disk recording mette fuori mercato, lentamente ma inesorabilmente, le varie altre piattaforme – dal nastro da 2 pollici fino ai multitraccia su cassetta.
Ancora nel 1996 esistevano i rack effetti, che ormai si trovano solo sui palchi, negli studi e in casa di nerd nostalgici come me. Lentamente ma inesorabilmente però, un dubbio si affacciava nella mente di musicisti e fonici: “In fondo, se gli effetti sono digitali, e quindi in tutto e per tutto dei piccoli computer dedicati, non potrebbero girare direttamente dentro al PC, processando il segnale alla sorgente?” Il finale lo conoscete, o comunque lo immaginate: i plugin. Per contro però, certe innovazioni evidentemente poco “sognate” dal pubblico sono fallite commercialmente: penso per esempio all’EWI, il sax Midi della Yamaha che sembrava pazzesco dell’86 e poi è subito scomparso nel nulla – o alla videotelefonia, sognata nel ’69 da Kubric in 2001 Odissea nello spazio e rifiutata dagli utenti proprio intorno al 2001.
Oggi infatti è evidente come questa regola del sogno si applichi a tutta la tecnologia che ci circonda. Una volta era la fantascienza a farsi carico di immaginare scenari e tecnologie, e molte delle sue promesse sono diventate realtà. Oggi invece siamo noi a farlo. Ah, se solo la smettessimo di sognare cose inutili…