Strumenti molto musicali

Una parte importante del lavoro di produzione musicale riguarda l’uso degli effetti. I quali, in realtà, sono spesso presenti in natura: ascoltare un trombettista che suona in un ascensore è completamente diverso dall’ascolto della stessa tromba suonata nella tromba delle scale. L’ambiente influirà moltissimo sul tono dello strumento, sull’esperienza dell’ascolto e sull’esecuzione del trombettista. L’effettistica, una volta detta Outboard (fuori dal mixer) e oggi presente nei software col nome di Plug-in, è essenziale per la registrazione di quasi tutte le musiche. Eco e Reverbero sono effetti base, sempre presenti anche se spesso inaudibili, specie se il fonico è bravo: un suono neutro è fastidioso per l’orecchio umano, e un filino di reverbero addolcisce, ambienta e “siede” meglio i suoni nel mixaggio. La storia degli effetti è una vicenda assai interessante, fatta di tecnologie oggi incredibili, come il reverbero a piastra metallica (il Plate Reverb) o il Leslie, l’enorme speaker rotante che produce, tra l’altro, lo stupefacente vibrato dell’organo Hammond anni ’60. Sono nati interi generi, come il Dub, intorno all’uso degli effetti in certe maniere. Altri esistono solo grazie a questi timbri: senza distorsore non esisterebbe la chitarra moderna. Con l’avvento dei Plug-in poi, la quantità di effetti disponibili si è centuplicata, così come la pulizia del suono. Naturalmente però si è anche persa la ricca pasta sonora di certi effetti analogici. Molti Plug-in sono repliche digitali di effetti vintage, mentre altri sono possibili soltanto grazie alla grande potenza di calcolo disponibile oggi: l’autotune (la scatoletta che consente a chiunque di essere intonato) semplicemente non era pensabile nel ’75.

La prima ondata di effetti a arrivare sul mercato fu quella degli anni ’80/’90: le prime macchine digitali, che facevano cose inaudite e costavano sempre meno. Alcuni di quegli effetti erano così potenti e ricchi di potenzialità da conquistarsi un posto specialissimo in questa storia. Ne voglio ricordare in particolare due, diventati così classici che ce li ricordiamo col nome commerciale. L’Oberheim Echoplex EDP è un… in teoria sarebbe un delay; però, essendo digitale, può anche ripetere un suono a loop – fino a diversi minuti. Quindi in realtà si può anche usare come un registratore in tempo reale, a otto tracce. E’ stato utilizzato in moltissimi generi, dalla techno alla sperimentazione più rigorosa, e ci sono artisti che considerano l’Echoplex (che in origine era un’eco a nastro) uno strumento musicale al 100%. Prodotto nel ’94 dalla Oberheim, l’Echoplex è stato recentemente riproposto dalla Gibson.

L’Harmonizer, che pensavo fosse un nome comune, è invece un marchio depositato dalla Eventide. L’ultimo nato di questa famiglia di effetti costosissimi è l’H8000FW, che è la versione strapompata dei suoi predecessori, e cioè… Un particolare mix di delay e effetti di pitch, assai potente e pulito, con cui si può fare eramente di tutto – dalla radio della polizia allo stupefacente mix delle voci di Sowing the seeds of love dei Tears for fears, fino ai dischi di Laurie Anderson. Uno dei miei musicisti preferiti in assoluto, il trombettista Jon Hassell, ottiene uno dei suoi signature sound utilizzando appunto un harmonizer (abitualmente stereo, un tono e mezzo in alto e in basso). Curiosamente però, l’universo dei Plug-in non mi pare abbia ancora espresso effetti di questo genere; tecnologie talmente sensibili e ricche di potenzialità da diventare strumenti musicali al 100%: però restiamo in fiduciosa attesa.

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