Sulla cultura dei files

(Testata: RadioLilliput)

Questa è una riflessione personale sui supporti musicali vecchi, come il vinile, la cassetta e il cd, e nuovi, come RealAudio, MP3 o Liquid Audio. La scrivo per commentare l’uscita sul mercato del walkman MP3 e, piu’ in generale, di tutto lo sviluppo del mercato musicale in Internet, che si avvia a diventare il principale veicolo di vendita della musica. Sono stato subito affascinato dalle possibilità della musica in rete, e non credo che ci sia bisogno che ci diciamo perché. Già da luglio 1997 il mio ultimo album è disponibile sul web, sia in formato RealAudio che nello standard MP3: penso che questa informazione basti a dire quanto mi interessi, sia professionalmente che “politicamente”.

Avevo 14 anni quando ho acquistato “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, e nel corso dei successivi 3/4 anni l’ho letteralmente consumato, succhiandomelo nota per nota tutto quanto. E’ stato uno dei molti album che, nel bene e nel male, ha influenzato il mio modo di fare musica. Appena acquistato mi piacevano Money e The great gig in the sky. Un paio di mesi dopo un amico mi ha tradotto il testo di Breathe/Time, e mi sono commosso: me le cantavo in stranzetta col groppo alla gola… L’anno successivo è stata la volta delle ultime due, Brain Damage e Eclipse. Solo qualche tempo dopo ho capito che Us and Them (la 6) e Any Color you Like (la 7), erano indissolubili dalla 8 (Brain Damage) e dalla 9 (Eclipse). Nella seconda metà àegli anni ’80 mi sono comprato un lettore cd, e (come molti altri) ho anche ricomperato in compact alcuni dei dischi per me fondamentali, tra cui The Dark Side of the Moon. Riascoltandolo (non lo facevo dal ’79), tra la commozione e lo stupore per la modernità, ho scoperto On The Run (la 2), che avevo sempre snobbato come una cosa un po’ troppo da sconvoltoni (avevo 15/16 anni). Si tratta, come probabilmente sapete, di uno dei pezzi ispiratori della Techno, la cui struttura (siamo nel ’72) è esattamente identica a quella di un qualsiasi pezzo nato nella rave culture: gli manca solo la cassa in 4.

La nuova tecnologia di distribuzione della musica in rete ci promette che potremo comperare la musica da casa, che mi pare ottimo (notoriamente io detesto le case discografiche) e ci promette anche che costerà di meno (bello). Poi aggiunge che non sarà copiabile (i dati dell’acquirente saranno invisibilmente registrati nei files, rendendo rischiosa la pirateria anche domestica), e questo già mi piace un po’ meno. Io credo molto nel valore assoluto della diffusione della mia musica aldilà del denaro che ne ricavo, e il fatto che la gente si registri i miei cd MI PIACE (fermo restando che comperarli è meglio), e voglio che possa continuare a farlo. Ma quello di cui voglio discutere è la promessa che non dovrò più possedere un intero cd, ma che potrò scegliermi i brani e scartare quelli che trovo noiosi o inutili. Questo significa che se uno fa un bell’album in cui ci sono tante canzoni che, NELL’INSIEME, funzionano, queste saranno poi smembrate e vendute al dettaglio, con il primo evidente effetto che le canzoni più martellate dai media saranno quelle più scaricate e che nemmeno i Los del Rio (autori dell’indimenticata Macarena) potranno permettersi di fare canzoni diverse o più difficili. E se la cosa funziona con “The Very Best of Barry Manilow”, cosa accadrebbe a The Dark Side… oggi? Io mi sarei scaricato Money, The Grat Gig in the Sky e sarebbe finita li. Di Elio elst, per esempio, la gente avrebbe La Terra dei Cachi, e forse il Pipppero. E dei vostri album preferiti? Quali e quante canzoni la gente avrebbe, per esempio, dei Casino Royale? E come la mettiamo con quei pezzi che si scoprono dopo ripetuti ascolti (che pure esistono e hanno tutta la loro dignità) o quelli volutamente oscuri?

Chiudo questa lunghissimo monologo con un fatto storico. All’inizio del disco (i 78 giri) si potevano solo registrare 3 minuti per lato, ed è così che è nata la “canzone di tre minuti”; molte forme musicali, per esempio il blues o lo swing, si sono DOVUTE adeguare a questo minutaggio. L’album di Isaac Hayes “Hot Buttered Soul” (da cui hanno pescato fin troppo i Portishead) è fondamentale perché per la prima volta si rompe la regola della “three minutes song” (1970). Quello che intendo è che la musica cambia a seconda del supporto su cui la metti, e per cui la pensi. Non vorrei che, dopo tanto tempo, ci dovessimo ridurre a fare solo singoli (quelli col gancio e il ritornello che torna 500 volte) per essere certi di venire “scaricati” dalla rete.

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