+ Techno – Lardo

Come sapete mi lamento spesso dell’Italia, e quando posso consiglio a tutti di andarsene, almeno per un po’. Questo semplice cambio di stato (teoricamente semplice, che in pratica può rivelarsi assai complicato) ha un effetto davvero potente. Assai ben descritto dall’espressione “essere altrove”, che non solo ci descrive quando non stiamo dove viviamo, ma mette l’accento sull’essere: sono allegro, sono stanco, sono altrove. In questo senso “altrove” è uno stato della mente – quasi come una droga – con effetti curiosi. Da un lato ci permette di intravedere molte potenzialità che non esprimeremmo non trovandoci altrove; dall’altro consente di capire con molta più chiarezza cosa ci sia che non va nel posto da cui veniamo. Come dicevo all’inizio, non sono mai stato tenero con questo paese, che amo ma che detesto anche con ardore. Tra i mille difetti che gli ho trovato negli anni c’è certamente la gerontocrazia (cioè il dominio dei vecchi sui giovani, e delle idee vecchie su quelle nuove): non è una novità, non sono l’unico a soffrirne. Però, essendo altrove, ho capito meglio la natura di questo squilibrio, che non ha tanto a che vedere col ricambio generazionale ma è assai più complessa: l’Italia non ama il futuro, non sa cosa farsene, mentre è nel passato (e nella replica infinita di questo passato) che trova i suoi motivi di orgoglio.

L’esempio perfetto naturalmente è il cibo. Il migliore è quello che non c’è più, i sapori antichi, dimenticati, da riscoprire. Subito dopo vengono i prodotti artigianali, frutto di una sapienza secolare, di strumenti perfezionati nei millenni, e che sarebbe assurdo cambiare. Il pasto veloce è una stortura della quale siamo vittime in quanto sfortunatamente moderni; viceversa si rimpiangono quei pasti lenti e infiniti nei quali si aveva il tempo di assaporare, di degustare, di inebriarsi di aromi, sapori e sentori. I prodotti di questa gastronomia sono tradizionali, antichi, rari, prodotti con orgoglio come si faceva cent’anni fa.

Sono contro questi prodotti? Giammai: amo l’olio buono e per un nodino di mozzarella pugliese potrei uccidere. Però detesto l’ideologia che c’è dietro, che mi pare terrificante e pericolosissima. Ecco cosa c’è scritto nel manifesto programmatico dell’encomiabile associazione Slow Food: “Questo nostro secolo, nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita. La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la Fast Life, che sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case, ci rinchiude a nutrirci nei Fast Food. Ma l’uomo sapiens deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che puà ridurlo a una specie in via d’estinzione.”

Ecco: questo mi fa paura, perché sottintende un’idea tremenda. Supponiamo che la vostra famiglia possieda un oliveto secolare, che produce un extravergine sublime. Nella vostra famiglia, da quando se ne ha memoria, si è sempre fatto l’olio. E’ naturale che voi dobbiate a vostra volta fare quello? Dipende: se vi piace e vi soddisfa allora sì. Ma se invece l’olio v’ha sfasciato le palle, e la vostra vocazione è di scrivere software? Cazzi amari, almeno secondo Slow Food, a cui probabilmente l’idea di nascere col destino già scritto probabilmente piace. Non a me. Io gioisco quando sento che il vino cileno è eccellente, la mozzarella cubana è accettabile e l’extravergine del Paraguay sa di olive. Godo perché questi sono indizi di liberazione per tutti quei ragazzi italiani che, pur rispettando il Lardo di Colonnata, non vogliono essere suoi schiavi a vita, e ripetere i gesti dei loro padri, dei loro nonni e avi, rimpiangendo un passato mitico che non c’è più (e che spero non ritorni: i pranzi lenti mi scatenano la furia omicida). Non ce n’è: finche in Italia il passato sarà meglio del futuro, e la tradizione migliore della modernità, la situazione non cambierà. E forse ci estingueremo mentre siamo a tavola, alla terza ora di antipasti, mentre ci diciamo quanto stanno male altrove e che culo abbiamo avuto noi a nascere nel paese dei mille sapori – e delle zero speranze.

2 thoughts on “+ Techno – Lardo

  1. finalmente un articolo breve e sensatissimo sul problema italia. Dal mio punto di vista è meglio restare e rompere le palle, altrimenti poi ci si ritrova tutti a berlino o a londra a scrivere blog su quanto ci faceva schifo l’italia, piuttosto che realizzare qui un futuro degno delle nostre aspettative. O peggio, ritrovarsi a berlino a un concerto di tarantelle con frise integrali a 5 euro l’una e vino aceto biologico.

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