Tostapiano solista

Uno dei temi più affascinanti del terzo millennio, specie per chi ha già qualche anno di esperienza alle spalle, è quello della democratizzazione della produzione musicale dall’avvento del digitale in poi. E se fino a qualche anno fa si poteva sostenere che i “software professionali” avessero effettivamente qualche margine in più, nel 2008 ogni differenza sembra scomparsa. Dico sembra perché naturalmente alcune differenze restano; ma oggi è obiettivamente impossibile stabilire se una canzone sia stata realizzata con Logic o con ProTools. Data la recente politica di Apple, che dall’ultima versione ha deciso di alleggerire i meccanismi di protezione del programma, favorendone così la diffusione, è sempre più probabile che sia stato fatto sul primo (un software degnissimo, erede di una tradizione ultra-ventennale, ma da sempre considerato qualitativamente un pochino meno del secondo).

O anche, volendo, col software musicale dei Puffi (se esistesse). Ecco il rovescio della medaglia: allo schiacciamento qualitativo in alto dei software più costosi è corrisposto un notevole aumento di qualità dei software cosiddetti “entry level”. Programmi dalle interfacce a volte bizzarre, dai nomi improbabili (come il leggendario Fruity Loops, oggi più sobriamente chiamato FL Studio) e perfino utilizzabili su piattaforme eterodosse come la Playstation. Insomma una vera rivoluzione, considerando che i software musicali sono stati tra i primi a dotarsi di protezioni aggressive per via dell’enorme diffusione illecita (in molti ricordiamo ancora con orrore la scomodissima chiave di Cubase). Oggi invece si de-proteggono suite di programmi assai sofisticati (come l’ultimo Logic, che ci vogliono 3 giorni solo a capire cosa installa), e si possono fare i dischi col tostapane.

Naturalmente non tutti i dischi. Oggi infatti la musica si divide in due grandi famiglie: quella che accade nell’aria per via di onde sonore prodotte dall’uso di legni, metalli, ecc. e quella che suona esclusivamente dentro i computer (o quasi: tutti i software consentono di utilizzare campionamenti di strumenti o dischi) e si sente solo con le casse o in cuffia. Per la prima, naturalmente, la democratizzazione è sempre relativa: oltre a un software adatto alla registrazione (quindi non Fruity Loops o Reason, ma Cubase, Logic, ProTools o l’eccellente Audacity, open source e gratuito) occorrono microfoni, una buona scheda audio, una sala di ripresa, e via dicendo. Di più: nella musica suonata entra in gioco in maniera decisiva il fonico, che sa come deve suonare un certo strumento o un certo genere musicale. Il Pop italiano ha le voci molto alte, lo speed metal richiede un uso radicale dei noise gate. Ogni genere ha uno stile e delle regole; serve un fonico che le conosca, possibilmente bene.

Ma l’altro mondo, quello interamente digitale (che comprende stili diversissimi, dalla sperimentazione alla dance), ha molte meno regole. Anzi, alcuni stili sono nati proprio sovvertendo le leggi del missaggio tradizionale: nella techno la cassa va spesso in saturazione, un suono sbagliato secondo il manuale del perfetto fonico, ma invece giustissimo per chi questa musica la fa o la ascolta. Per l’album I care because you do di Aphex Twin vale il gioco di parole, abusato ma sempre valido, Il medium è (anche) il missaggio, che diventa parte della composizione. DJ Shadow racconta di oltre 100 versioni diverse di Midnight in a perfect world – uno dei suoi brani più complessi e riusciti. Che suona sporca come nessun fonico saprebbe fare, lievemente sfasata nel ritmo come nessun musicista classico tollererebbe, ma sublime. E potrebbe tranquillamente essere stata realizzata con la Playstation 1.

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