Valore

Sono dal ferramenta, mi servono dei chiodi; capito quali voglio, lui apre una scatola, ne estrae un pugnetto, lo pesa e poi mi fa: “milleddue”. Pago, esco e mi accorgo di aver compiuto una transazione ormai rara, una di quelle cose che stanno scomparendo senza che nessuno gli scriva neppure un necrologio: ho sborsato un importo ragionevolmente vicino al valore reale. Quei chiodi insomma li ho pagati una cifra che, sottratto il giusto profitto e le spese del negoziante, del distributore e del produttore, da più o meno zero; una cifra che ha ancora una parentela col “valore reale” della merce, una qualche sorta di equivalenza.

All’inizio era così perfino per i soldi: una moneta da 10 talleri (dico per dire) valeva quella cifra nel metallo di cui era fatta (oro o argento, di solito). Quindi il denaro aveva un valore reale e non soltanto simbolico, com’è adesso. (Un’annotazione curiosa: la ragione per cui hanno sostituito le vecchie 100 lire con quelle più piccole è che il costo per produrne una era di circa 98 lire…) Comperando una qualsiasi cosa, entravano in gioco elementi come il numero di ore necessarie per produrlo, il costo delle materie prime, la rarità o ricercatezza dell’oggetto, etc. In alcuni campi è ancora così: nell’edilizia per esempio, o nei cibi, ed in molti altri ancora. Per altre merci invece, dalla rivoluzione industriale in avanti, la situazione è cambiata. Io lo so che molti di voi che studiano economia saprebbero spiegarmi come funziona esattamente questo meccanismo, ma io continuo a stupirmi.

Esattamente come una banconota da mille lire in realtà è un pezzo di carta che ne vale 20, le merci – molte merci – hanno dei prezzi completamente slegati da qualsiasi realtà. Come si stabilisce che un paio di Nike Sucker Pro vale (e quindi costa) 399.000 lire? Le materie prime impiegate? Le ore di lavoro (degli indonesiani a 3.000 lire al giorno)? Come si determina che il Mentadent Antimalaria vale 9.800 al tubo? Il Viagra costa circa 20.000 lire a pastiglia: produrlo costa così? E la mia bici, che ho pagata nuova 195.000, vale davvero una volta e mezza di meno del modello simile ma migliore che ne costa 500.000? Posso immaginare che un cellulare da centomila lire funzioni peggio di quello da un milione e mezzo; ma quindici volte peggio?

3×2: Ora io lo so che i 3×2 servono a svuotare i magazzini, a far vendere più pezzi, etc. Eppure non riesco a capire perché quel sapone lì, che ieri valeva 1000 lire al pezzo, oggi ne valga 666; o m’hai fregato ieri o sei gnucco oggi… E invece mi sa che lo gnucco sono io. Perché quel sapone vale in realtà 66 lire e tu potresti tranquillamente permetterti di regalarmelo, dopo tutte le volte che l’ho comperato a prezzo (virtuale) pieno. Chi vende la merce a 3×2 (specialmente quella già confezionata così) mi pare uno spudorato che, per una volta, mi fa dare una sbirciatina nel meraviglioso mondo del profitto irragionevole.

Computers: sempre più veloci, sempre più potenti, sempre più economici… come funziona? Com’è possibile che un Pc lento e babbione costasse 5 milioni due anni fa e adesso una macchina veloce e geniale ne costi la metà? Sarò un consumatore miope e cocciuto ma nessuno potrà dissuadermi dal pensare che il primo valesse in realtà 40.000 lire, ed il secondo 43.000: quello è plastica, silicio, un po’ di filo elettrico e una fetta di vetro. Il suo valore economico è determinato quasi esclusivamente da quanto profitto vuole ricavarne il suo produttore, a quanto può venderlo senza che qualcuno esclami: “‘Azzo, ma c’hai proprio la faccia come il culo”. Mica male, considerato che c’è chi deve ancora lavorare per vivere.

Quando penso a questa cosa (che si chiama “legge della domanda e dell’offerta”), e a come non può che peggiorare, mi viene un po’ d’amaro in bocca; un’impressione come di essere circondato da giovanotti in camicie opinabili, dopobarba e scarpe con la punta quadrata che mi rintronano di cazzate e mi vendono merci a prezzi di totale fantasia: purtroppo, ahimé, la loro. Buona estate.

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