C’erano una volta i cantanti Pop, ragazzi e ragazze spigliati che cantavano canzoni quasi mai scritte da loro, destinate ad altri giovani. I requisiti erano bella presenza, disinvoltura e intonazione, al resto ci pensava la casa discografica. Non avevano opinioni, e semmai se le tenevano. Di qualcuno si mormorava che ne avesse ma non c’erano certezze. Qualche indizio era dato dal comportamento difforme o perfino scabroso ma niente di più. Gli anni ’60 sono l’epoca dell’impegno e certi artisti iniziano a “schierarsi”. Ci metto le virgolette perché tranne in rari casi nessuno si schierava davvero: si manifestavano delle idee nelle canzoni, il pacifismo, l’amore cosmico, la fratellanza. Ma non era obbligatorio, anzi qualcuno ebbe anche dei problemi come il povero Morandi, interprete di “C’era un ragazzo che come me…”, oggetto di polemiche da parte di un segmento del suo pubblico. La musica Pop veniva vista come svago, lievità, intrattenimento, mentre i giovani ci cercavano sempre di più delle indicazioni etiche e ideali. Così gli eroi Rock degli anni ’60 e ’70 diventano progressivamente anche maestri, parlano di droghe, di stili di vita alternativi e a volte perfino di politica.
Dopo le rivoluzioni parallele di Punk e Disco, che alla fine degli anni ’70 ridefiniscono alcuni parametri del Pop moderno, arrivano gli anni ’80, MTV (che impone standard morali ferrei, come fa oggi YouTube) e molto cambia. Tra le novità c’è proprio l’aspetto sociale e forse anche politico della musica Pop. L’evento Live Aid, 1985, non è solo un grande fundraiser per una causa sacrosanta ma introduce un elemento nuovo nella musica pop (in realtà di matrice Punk): l’impegno sociale. Da questo punto di vista c’è un prima e un dopo, e se prima era possibile essere semplici cantanti Pop, dopo Live Aid la profondità diventa necessaria. Qui da noi l’impegno era appannaggio della scena alternativa, di una nicchia di cantautori (magari popolari ma non nazional-popolari) e della strabiliante scena Hardcore, tutt’oggi vanto dell’Italia nel mondo. La vera svolta avviene con l’Hip Hop (che non solo ha tra i suoi ingredienti il commento sociale ma svecchia la lingua italiana, rendendola utilizzabile nella musica Pop moderna senza dover troncare le parole). Molta della musica degli anni ’90, oggi oggetto di culto, contiene elementi di critica sociale se non di denuncia esplicita. L’album fondativo dell’Hip Hop italiano moderno, SXM, è ricco di opinioni oltre che di beat. È difficile sopravvalutare l’influenza dell’Hip Hop sulla musica Pop degli ultimi trent’anni, nel bene e nel male. Ritmi, metriche, vestiario e scenari vengono in gran parte da lì. Insieme a questi elementi arriva la profondità, che a questo punto è diventata anche un espediente poetico, un punto di vista utile per produrre concetti: la periferia, il riscatto sociale, i guagliun’ in miez’ ‘a via ma anche il degrado, il razzismo e l’inquinamento.
Parallelamente allo sviluppo della nuova scena italiana succedono due cose importanti. Innanzitutto arrivano i Social media e la comunicazione diretta tra artista e pubblico. Nel frattempo la discografia ufficiale implode e si diventa famosi su YouTube senza passare in tv o alla radio, si fanno milioni di stream con contenuti diretti e non filtrati. Questi due ingredienti generano un fenomeno interessante: la scena Pop ufficiale, quella dei grandi network, si accorge che questa nuova generazione di artisti è molto interessante: vende (mentre Zarrillo annaspa), piace ai giovani (target assai ambito dai pubblicitari) e contiene della profondità, che nel frattempo è diventata irrinunciabile. Quindi lentamente ma inesorabilmente scatta la manovra di avvicinamento: i rapper, gli influencer, le dive di periferia, i guaglioni di cui sopra e compagnia cantante. I quali non si sottraggono affatto all’abbraccio dei media, anzi. Si danno una ripulita, eliminano ogni riferimento alle pasticche e corrono a Sanremo dove, per profondità, si portano dietro una causa, una minoranza, una qualche condizione da sbandierare, da rivendicare. E se non ce l’hanno improvvisano: “Viva le differenze. Viva la libertà di pensiero sempre e comunque”. Grazie Mahmood.
Dice: ma tu sei contro le differenze? Non solo la risposta è ovviamente no, ma vi sfido a trovare qualche fan di Mahmood che lo sia. Idem per la guerra, la tolleranza e la libertà di pensiero. Certo che dobbiamo combattere la transfobia ma ripeterlo ogni sera in Tv secondo me serve solo a ammaliare quelli già convinti. Anzi, se ti chiami Gaetano e lo dici vestito in guêpière secondo me forse è perfino controproducente. Certo non mi aspetto opinioni radicali o controverse, mi accontenterei di qualcosa tipo “Basta coi SUV in centro” o “La parola Troia fa schifo e chi la usa è una merdaccia”. Messaggi più sensati e sicuramente meno noiosi che ripetere con parole proprie quello che ha detto ieri il Papa, ma inadatti agli standard Pop del 202X.