Quelli che tra di voi hanno più di 40 anni probabilmente ricordano un fenomeno cultural/tecnologico esploso negli anni ’70 che riguardava la riproduzione della musica: l’Alta Fedeltà, o Hi-Fi. In soldoni: grazie all’avanzamento delle tecnologie (e in particolare l’avvento della registrazione su nastro magnetico, la diffusione del disco a 33 giri e la trasmissione radio in FM, formati di maggiore fedeltà sonora) si diffuse la cultura/moda/mania di possedere faraonici impianti audio (siamo in anni nei quali l’amore per la tecnologia d’uso poteva esprimersi in pochissimi modi: la fotografia, l’automobilismo e appunto l’audiofilia), abitualmente composti di elementi di varie marche: il piatto Thorens, la costosissima piastra per cassette Nakamichi, ecc. La diffusione dell’Hi-Fi innalzò la qualità generale degli stereo casalinghi, introducendo la popolazione (specie quella giovanile) all’idea che si poteva ascoltare meglio. I musicisti dell’epoca erano pure assai attenti a questo tema, e i loro LP sembravano fatti apposta per avviluppare l’ascoltatore nel suono: durate estese (sono gli anni degli album tripli), atmosfere cosmiche, frequenze fino a quel momento inesplorate. Tutta musica che poi ci è stata rivenduta, dall’83 (anno di introduzione del CD) in poi, proprio per via della supposta qualità superiore della riproduzione digitale. Naturalmente negli anni d’oro dell’Hi-Fi esisteva anche una tecnologia di qualità inferiore ma underground, portatile e veloce: la cassetta (e i suoi generi principali, la copia casalinga illegale e il mix-tape). Il fenomeno era talmente diffuso che negli anni ’80 le Major si inventarono la ridicola campagna che vedete qui sotto.
Avanti veloce: tra il ’97 e il 2000 si diffonde l’Mp3 che promette qualità e portatilità. Sulla seconda non ci sono dubbi; sulla prima secondo me invece c’è qualcosa da dire. Indubbiamente, specialmente per alcuni generi, la maggioranza degli Mp3 fa il suo mestiere, e le differenze col CD sono poco percettibili (sorvolo su quelle enormi tra vinile e compact disc), specialmente se si ascolta con auricolari o casse da computer, che è quello che fa gran parte della gente. Non solo: i player Mp3 e le casse moderne sono dotate di sistemi di pompaggio delle frequenze estreme fatti apposta per compensare la magrezza del digitale; quindi, salvo a avere uno studio, oggi è assai difficile fare dei confronti, e ci si è tutti abituati a ascoltare un po’ peggio. Va detto che l’industria musicale si è in gran parte adeguata, e oggi chi mixa un disco pop si assicura che suoni bene soprattutto in Tv e in Mp3. I file legalmente in vendita in rete a 0,79 € sono compressi a 256 kbps con bit rate variabile: appena accettabile nel 2011, ma tra dieci anni?
E inoltre: come mai nel 2011 mi viene venduta musica “liquida” soltanto in Mp3? Non potremmo avere l’opzione di scaricare musica non compressa per poi, se vogliamo, farne degli Mp3 oppure masterizzarli su CD? Se compro i file compressi di un album (Born this way di Lady Gaga, per esempio) a € 14.76, non avrei diritto al medesimo contenuto del CD (anche come qualità sonora) che su Internet costa € 13.74 (spedizione gratuita)? L’impressione è che l’industria discografica, abbandonate le diaboliche tecnologie di protezione di compact e file musicali, sia tornata alla sua antica strategia: rivenderci all’infinito le stesse cose su formati diversi. Io ricordo quando sugli LP c’era scritto “La magica sensazione di avere un’orchestra in casa!” Poi sono arrivati i CD e “L’insuperabile qualità del suono digitale su dischi che dureranno per sempre!!” Ultimamente invece lo slogan in voga è “15.000 Mp3 nella tua tasca!!!” E’ possibile che domani si ricominci a puntare sulla qualità, per esempio producendo casse migliori che svelino il trucco creando l’esigenza di ricomperarci tutto da capo? In fondo, da un lato, sarebbe perfino giusto.
(Si ringrazia Painé Cuadrelli)