Oggi è la giornata mondiale della radio, il medium che ho frequentato di più nella vita avendo iniziato durante l’adolescenza quando nacquero in Italia le radio libere. Quello che segue è un capitolo del libro che sto scrivendo oramai da diversi anni, un libro curioso (un’amica mi ha suggerito il termine Auto-Fiction) che abbisogna di un paio di precisazioni. Niente di quello che leggerete è completamente vero né falso. I personaggi sono costruiti assemblando parti di persone diverse che ho incontrato in momenti distanti della mia vita, e in nessun caso sono riconducibili a singoli individui realmente esistiti. Idem le storie, magari realmente accadute a me o a altri, a cui però sono sempre aggiunti uno o più livelli di invenzione. Buona lettura.
Quando iniziano le radio pirata decido che devo assolutamente riuscire a trasmettere, suonare della musica al mondo mi pare una missione meravigliosa e urgentissima. Le mie cassette miste piacciono molto, gli amici se le duplicano quindi mi pare un passo logico. Le radio libere sono appena nate, ce ne sono di nuove ogni giorno anche se la temibile polizia postale ogni tanto ne chiude una. Le stazioni che preferisco mi sembrano irraggiungibili, troppo belle per mandare in onda uno come me, magari entusiasta ma totalmente inesperto. Quindi ripiego su una radio minuscola raggiungibile in autobus. Ci lavora il fratello di uno della piazza, dice che forse cercano. La radio è nel sottoscala di una palazzina di lusso, vicino ai contatori. Due cantine con l’uso del bagno in cortile più la soffitta dove c’è il trasmettitore. La copertura è ridicola: il segnale arriva a malapena a casa mia. Trovo il padrone-direttore-boss nella prima cantina, l’ufficio, che contiene la più piccola scrivania del mondo e due divanetti, su uno dei quali è sdraiato lui. Quando entro non si alza, mi squadra e poi mi fa: “Ch’ bbuò?” Si chiama Amore, o meglio Dott. Amore, per tutti è il Dottore o Dottò. Sui quaranta, occhiali fumé, camicia fantasia aperta, catena d’oro, pantaloni di gabardine beige a campana, stivaletti, fuma certi piccoli sigari alla vaniglia. “Salve, ho novanta dischi”, dico io speranzoso: “Mi fate trasmettere?” “Azz’, novanta, la paura!” mi risponde ridendo. Ha un linguaggio comicamente forbito, decorato da espressioni napoletane. “Posso presentarti Floriana? È una futura star internazionale della musica.” Floriana mi sorride: ha pochi anni più di me, gambe lunghe, vita stretta e due poppe notevoli bene in evidenza. “Floriana è cantante di gran classe” aggiunge Amore solenne. Poi si volta verso di lei: “Questo giovanotto è un aspirante Disc Jockey.” Floriana mi guarda ammirata e si sistema il reggiseno.
Amore si alza e mi fa cenno di seguirlo nell’altra cantina, lo studio: due giradischi, due microfoni e il “bobinone”, un registratore lentissimo con una bobina di nastro enorme, in grado di continuare a trasmettere musica durante le ore notturne. “Serve a occupare la frequenza” mi dice lui, “altrimenti se l’arrubbano”. Al centro della stanza c’è un tavolo con sopra il mixer, terrificante, pieno di pomelli e pulsanti tutti uguali: “Da qui controlli tutto: vedi le pecette con le scritte? Con quelli”, dice Amore indicando dei cursori, “alzi e abbassi i volumi. Il resto non lo toccare. Se questa lucetta diventa rossa, abbassa il volume.” Poi mi indica la sedia, prende un disco, lo mette, abbassa il cursore etichettato “bobinone”, che stava trasmettendo in quel momento, e alza quella del “giradischi 1”. Poi mi mette in mano la copertina e mi fa: “Alla fine del pezzo fai il disannuncio.” “Che faccio?” Dico io, lievemente preoccupato. “Dici: Abbiamo trasmesso, e poi il titolo e il cantante.” La canzone non finisce mai, io sono nel panico. Lui apre il mio microfono e mi guarda dritto in faccia, serissimo. Ingoio una palla di pelo, dico quello che dovevo dire e poi aggiungo: “Siete su Radio Italia Mondomusica, in diretta!” Amore è entusiasta: “Il guaglione tiene un talento naturale!”. Poi ha un’idea: “Floriana, vieni di qua! Siediti.” Lei si siede sull’unica altra sedia, di fronte a me. Amore ci passa due cuffie, e annuncia: “Adesso facciamo l’intervista.” Lei è visibilmente eccitata, io sono pietrificato. “Che gli chiedo?” mi chiedo, mentre lui mi passa il primo 45 giri di Floriana. In copertina c’è lei, popputa in un campo di grano. Finisce la musica, apro il microfono e, dopo aver ingerito una palla di pelo solo un pochino più piccola della precedente, annuncio: “Va ora in onda Ridi, Ridi. Canta Floriana!” La canzone è una merda assoluta, una sorta di finto canto delle mondine con ritmo Disco, Floriana è un disastro, il testo parla di lei che soffre per amore: senza speranze. Floriana è in estasi, la sua voce va alla radio e adesso il DJ la intervista. Tra una palla di pelo e l’altra scopro che Floriana è “di un paesino ridente del sud che si affaccia sul mare”, che “ha sempre cantato, fin da bambina, e che in paese la conoscono tutti”, che “si è trasferita in città per sfondare” e che è molto grata “al mio produttore, alla casa discografica Miscioscia che mi sta lanciando sul mercato e al dottor Amore che si interessa tanto alla mia carriera.” Lei ammicca, lui sorride e le manda un bacino. “Progetti futuri?” Le chiedo, per chiudere l’intervista. “Sto registrando una nuova canzone di forte impegno ecologico, sul tema dell’inquinamento. Poi quest’estate faccio una grande tournée italiana.” Cambio disco, tutti e due sono felici. Lei mi abbraccia, lui si congratula: “Una bellissima intervista”. Poi aggiunge: “Qua ci sono dei dischi, fatti un’oretta e poi manda il bobinone”. Prende Floriana per la mano e tornano in ufficio. Io sono in paradiso: nel giro di mezz’ora sono stato assunto da una vera radio, ho imparato a usare un mixer, ho intervistato una cantante e sto trasmettendo in diretta. Dopo una mezz’ora Floriana viene a salutarmi: “Ciao, grazie dell’intervista, tanto ci vediamo, io vengo spesso.” Appena se ne va, Amore mi spiega tutto: “Bocchini. Floriana fa i bocchini. Ma benissimo, certi bocchini che pare un vortice di carne.” Io sono giovane e quasi totalmente inesperto, l’immagine cattura la mia attenzione. “La prossima volta diglielo: t’è piaciuta l’intervista? Fammi un bocchino. E lei te lo fa.”
Lavoro gratis in quella radio per molto tempo, due ore al giorno in diretta coi miei novanta dischi che nel frattempo crescono, senza mai chiedere niente a Floriana. Ma Amore mi prende in simpatia lo stesso, e spesso nei weekend mi paga (una miseria) per seguirlo e fare delle interviste. Si parte in tre col suo autista, molto simpatico e probabilmente armato, io con microfono, cuffie e registratore portatile, Amore vestito di beige cogli occhiali fumé. Le mete sono sempre uguali: paesi di provincia nei quali si inaugura una mostra, si presenta un libro, si visita l’atelier di un’artista, si tiene una pubblica lettura, un recital, una serata di poesie le cui caratteristiche sono sempre le stesse. Donne non giovanissime, talvolta piacenti, molto “artistiche”, quasi sempre benestanti, bizzarramente vestite e assai lusingate che una radio di città sia interessata alle loro opere: quadri orribili, sculture ripugnanti, poesie che nessuno avrebbe mai letto, ninnoli insensati fatti con la creta. “Mentre le intervisti, mi raccomando i superlativi”, mi suggerisce Amore: “Tanto so’ gratis.” Io sono giovane e obbedisco. A ogni superlativo vedo le artiste eccitarsi e impiegarne a loro volta per descrivere se stesse e la propria “opera” in un gorgo di autostima lussuriosa completamente ingiustificata. Amore sorride, a me e all’artista. La sera, rientrando, tira la morale della storia, quella che secondo lui è una lezione di vita a mio uso e consumo: “Bocchini. Due, in un’ora. E se domani tu torni, quella te ne fa due pure a te e due a tuo cugino. Tu la intervisti, la trasmetti alla radio. Tu puoi dargli qualcosa di importante. E anche lei a te: i bocchini. L’intervista la trasmettiamo domani e poi gli mandiamo la cassettina, così quando ci viene a trovare alla radio ci fa i bocchini a tutti.”
Radio Italia Mondomusica ha due tipi di collaboratori. Quelli come me, entusiasti della radio e della musica che fanno andare avanti l’emittente, registrano i bobinoni (otto ore di musica ininterrotta), montano le pochissime pubblicità (alcune probabilmente pagate a bocchini) e trasmettono quotidianamente. Poi ci sono gli esperti di qualcosa, che hanno bisogno di qualcuno alla regia, cioè uno che sappia usare il mixer e gli apra il microfono. C’è il dottore commercialista Puzzessa di Mondragone che discetta di problemi fiscali alle sette di sera, escogitando mille trucchi e bugie per ripetere il proprio nome: “Ci scrive Anna: gentile dott. Puzzessa, lei cosa pensa della nuova riforma fiscale? Beh, ecco, dopo attenta analisi, allo studio Puzzessa riteniamo che…” Il gommista che discute in diretta con gli ascoltatori al telefono sui pregi e difetti di certi copertoni. Il sacerdote che vuole parlare ai giovani del Vangelo il sabato mattina alle nove. Fargli la regia è un incubo: essendo io giovane si rivolge a me, e durante le pause musicali (di musica che si porta lui, edizioni Paoline) mi scruta cercando di vedere che effetto mi fa. O la signora Biellomanti, esperta di Arte, ex bonazza truccatissima, impellicciata e profumata, che racconta di mostre sconosciute, forse non dissimili da quelle preferite da Amore. A Radio Italia Mondomusica nessuno mi dice mai cosa devo dire o che musica devo trasmettere. Riempio le ore con quella che a me pare bella, urgente, necessaria, dopotutto ho novanta dischi, e imparo tutto quello che posso sulla radio e sulla musica. Finalmente so fare una cosa.
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